di Pietro Francesco Maria De Sarlo

Che dire di Elly Schlein? Sembra spuntare da ET, e comunque è uno spettacolo vederla demolire una dopo l’altra tutte le riforme di destra fatte dal Pd: dal Jobs act all’abolizione dell’articolo 18. È ancora più straordinario vedere con quale nonchalance abbia fatto proprie le bandiere storiche del M5S, dal reddito di cittadinanza al salario minimo, strappandole di mano a un attonito Conte, che su queste bandiere era stato crocifisso proprio dal Pd e dalla stampa collegata.

E che dire della stupefatta ‘Io sono Giorgia’? Ma come? Sta pedissequamente applicando l’agenda Draghi, su cui Enrico Letta e il Pd aveva chiesto i voti, e invece di ricevere il plauso, come hanno appena fatto Bonaccini e Letta, dalla neo segretaria del Pd viene criticata. Qual è il senso? Che siccome il Pd, partito di sinistra, aveva fatto politiche di destra ora la destra dovrebbe ricambiare la cortesia e fare politiche di sinistra? Mah! Vedremo se Schlein andrà avanti con questo ‘revisionismo storico’ del turboliberismo sposato dai suoi predecessori.

Potrebbe continuare e dire parole chiare e mobilitare le masse contro l’autonomia differenziata, facendo sentire meno soli noi meschinelli che contro questo scellerato progetto ci battiamo da sempre, a partire dalla riforma del Titolo V voluta dal salvatore della Patria Giuliano Amato, continuata con i ‘preliminari’ firmati dall’allora primo ministro Pd Paolo Gentiloni, sì, proprio l’attuale commissario europeo, e i governatori Zaia, Fontana e Bonaccini, sì proprio l’attuale presidente del Pd, e continuata con il ddl Gelmini del governo di un altro salvatore della Patria: Mario Draghi.

Ironia della sorte il ddl cosiddetto Calderoli è persino migliorativo rispetto ai precedenti ‘sinistri’ del Pd, perché c’è almeno il superamento del costo storico e l’introduzione dei Lep (livelli essenziali nelle prestazioni). Quello che pare sfuggire al dibattito, anche perché oscurato dai media, è cosa accadrebbe se tutte le regioni la chiedessero e su tutte le 23 materie previste, che vanno dalla previdenza al commercio estero passando per le infrastrutture.

Basterebbe un minimo di capacità intellettive da quinta elementare e di onestà intellettuale per capire che saremmo in presenza di una mutazione della forma dello Stato, ove non si capisce più né il senso dello Stato unitario né le sue funzioni e dove le 21 regioni italiane dovrebbero arrangiarsi in autonomia praticamente su tutto. Per esempio la Basilicata, con una superficie pari alla metà del Veneto e un decimo dei suoi abitanti, dovrebbe attrezzarsi per una propria politica estera, economica, una propria Inps e via dicendo.

Appare evidente che per fare un minimo di massa critica le regioni del Sud dovrebbero associarsi e costituire una macroregione che assommi i poteri di tutte le regioni attuali, per esempio sulla sanità, per stabilire dei poli di eccellenza da offrire ai cittadini in alternativa a Milano e dintorni, oppure dei veri e propri consolati esteri per valorizzare la propria posizione nel Mediterraneo, che è il centro e punto di incontro di tre continenti; quindi dotarsi di infrastrutture adeguate che devono necessariamente essere transregionali.

Forse scopriremmo che l’autonomia non basterebbe e che, in tale scellerato caso, dovremmo avere tutti i poteri dello Stato e ricostituire lo Stato Duosiciliano, o almeno quello del Mezzogiorno non insulare?

Mentre ci siamo ci vorrebbe anche un mea culpa sul Mes, strumento stracult anti M5S. Basterebbe rispolverare lo studio della Fondazione Delors che poneva dubbi sulla natura giuridica del Mes e ne proponeva la ricollocazione nell’ambito giurisdizionale del Parlamento Europeo e occorre ricordare, in una delle tante commemorazioni, che anche David Sassoli aveva sposato questa tesi. Fino a quando non avverrà, il Mes è un bau bau più che un meccanismo salva stati, con un track record di ammazza popoli; e il fatto che il suo direttore Klaus Regling, autore del ‘salvataggio’ della Grecia insieme a Draghi e Lagarde, sia ancora lì non aiuta ad avere fiducia.

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