di Giulio Di Donato

La sfida di Pace e rivoluzione, il dialogo inedito tra Marco Guzzi e Fausto Bertinotti (Edizioni Mariù, 2023), è tanto ambiziosa quanto necessaria: rilanciare, al tempo della guerra permanente e della chiusura asfittica di orizzonti, due parole tragicamente inattuali, nel loro reciproco implicarsi, quali appunto pace e rivoluzione.

La pace come premessa e obiettivo di una nuova rivoluzione, che deve necessariamente coinvolgere sia la dimensione interiore, individuale che quella esteriore, delle relazioni sociali, perché l’una è condizione dell’altra; di una nuova rivoluzione che sia ad un tempo politica e spirituale, che si riferisca cioè al “destino dell’uomo e non a suoi particolari problemi”, perché oggi la partita dell’egemonia non si gioca solo sul terreno etico-politico e materiale, ma anche e soprattutto spirituale, esistenziale. Tutto questo a partire ovviamente da una resa dei conti coraggiosa e consapevole con le zone d’ombra e le profondità oscure della nostra vita individuale e collettiva.

Proprio perché in rapporto con l’idea di rivoluzione la pace non va allora invocata in termini retorici o moralistici, ma come presupposto per una critica e trasformazione radicale degli assetti di potere esistenti, come “principio di non appagamento” e come “appello al cielo”, in direzione di un orizzonte di vita altro. D’altra parte, come è noto, l’utopia della “pace perpetua” e l’idea di rivoluzione hanno rappresentato le due grandi promesse della modernità e sono strettamente legate le une alle altre: la pace e la concordia universalis come esito finale della “furia del dileguare” del processo rivoluzionario, che disfa e ricostruisce sempre daccapo il mondo.

Questo nesso tra critica e oltrepassamento chiama in causa un nuovo incontro fra il pensiero laico di ispirazione socialista e il cristianesimo su un terreno diverso dal passato: non più soltanto quello di una comune critica del tecno-capitalismo finanziario, perché intreccia la dimensione del sacro (come sfera da erigere in difesa di ciò – la pari dignità sociale delle persone soprattutto – che non può essere sacrificato a scopi di “utilitas et potentia”) e il recupero di una prospettiva trascendente contro il vortice nichilistico che tutto mercifica, spettacolarizza, oggettivizza e livella.

Il nesso tra pace e rivoluzione si sviluppa dunque all’interno del libro secondo molteplici traiettorie: come rapporto tra politica e fede e tra rivoluzione e messianesimo naturalmente, ma anche come rapporto tra rivoluzione e tradizione. Già, perché l’ambizione dei nuovi rivoluzionari non deve essere solo quella di trasformare la realtà, ma anche quella meno pretenziosa, ma forse ancor più impegnativa, di impedire al mondo di distruggersi, salvaguardando l’essenziale, ciò che è indispensabile: l’audacia del rivoluzionare e del conservare insieme. Accanto alla tensione messianica, ovvero alla speranza-invocazione di salvezza, ritorna qui l’elemento paolino del katéchon, del freno d’emergenza, da intendere però non esclusivamente come un fattore di contenimento, ma anche nei termini di una forza capace di svolgere una funzione produttiva, favorendo uno sbocco progressivo alle “policrisi” dei nostri giorni.

D’altronde lo spirito religioso, tra ansie apocalittiche e attese di salvezza, non scompare mai del tutto, ma si sposta, più o meno sottobanco, da un “centro spirituale di riferimento” ad un altro (oggi è il turno dei miracoli della tecno-scienza, della fantasmagoria delle merci e del miraggio di un aldilà collocato alle porte della società dello spettacolo mediatizzato). Il paradosso dei nostri giorni è però il seguente: quella tensione spirituale, tra senso di freno all’apocalisse e annuncio di salvezza, in molti cattolici fa da sfondo ad una visione laica e realistica della complessità dei grandi problemi attuali (guerra ed emergenze su tutti), contro gli opposti fanatismi e le semplificazioni manichee.

Come abbiamo visto, il fervore insieme spirituale, etico e civile che anima il dialogo tra Marco Guzzi e Fausto Bertinotti assume un senso politico forte dalle differenti implicazioni: tanto orizzonte ideale quanto paradigma critico capace di alimentare una visione dinamica della società sulla base di una nuova frontiera conflittuale.

Certo, non si può pensare di replicare nelle forme del passato la tensione parareligiosa verso il futuro da cui le fedi politiche del secolo scorso traevano alimento. Ciò nonostante tale spinta non può essere dismessa del tutto: deve piuttosto incorporare promesse meno ambiziose (poste su un terreno che non coinvolge più soltanto il momento economico, ma ruota attorno al nesso tecno-scienza/tecno-economia e al rapporto del uomo con se stesso e con la “natura naturante”) e va messa in rapporto con altro. Giocando con le parole, il senso dell’oltre deve oggi procedere di pari passo con il contro e con il prima: in particolare contro gli imperativi sistemici e le logiche impersonali che schiacciano la vita degli individui e delle comunità e con il prima, ovvero con il fondo comunitario (nazionalpopolare) della vita collettiva, intrecciando visioni critiche e sedimentazioni di senso, credenze popolari e forze materiali, orizzonte simbolico e piano concreto.

Sullo sfondo il rapporto complesso e ambivalente della modernità con le grandi tradizioni metafisiche e religiose (qui in Europa con il cristianesimo in modo particolare), che non può implicare alcuna “traducibilità immediata”, ma rimane un rapporto costitutivo che in questa fase si pone in termini in parte nuovi, oltre quelli già segnalati: come bagaglio di energia spirituale al quale attingere per rianimare una dialettica politica priva di propulsione ideale, come potenziali di senso da sfruttare a supporto della “morale di ragione” e di un’etica pubblica rinnovata, in una chiave compatibile con il pluralismo e la laicità.

Concludendo, solo uno sguardo religioso (ben indirizzato) ci può salvare dai fantasmi dell’orrore e dalle vestali dello status quo; solo uno sguardo religioso (ben indirizzato) ci consente di tenere aperto il varco al “sogno di una cosa” e alla nostalgia di una nuova cornice di significati, appartenenze e orientamenti.

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