Una confisca per nove milioni e mezzo di euro, trent’anni dopo l’annuncio di voler collaborare con la giustizia. È la parabola di Giuseppe Li Pera, 73enne imprenditore raggiunto giovedì dal provvedimento del Tribunale di Caltanissetta che lo priva del suo patrimonio. Originario di Polizzi Generosa (Palermo), il geometra Li Pera è tra le figure più controverse degli ultimi quarant’anni di storia siciliana. Dalle sue mani è passata una buona fetta degli appalti indetti nell’isola tra gli anni Ottanta e Novanta, quelli della spartizione scientifica dei fondi pubblici tra le imprese, a patto che si dimostrassero riconoscenti nei confronti della politica e della mafia. Una rete di alta ingegneria criminale che ebbe il vertice in Angelo Siino, piccolo imprenditore edile a cui Totò Riina affidò le chiavi del sistema che avrebbe dovuto fare tutti contenti, a spese dello Stato.

Se Siino è passato alla storia come il ministro dei Lavori pubblici di Cosa nostra, a Li Pera spetta quantomeno il ruolo di sottosegretario. All’epoca era capo-area per la Sicilia dell’impresa friulana Rizzani De Eccher, il geometra da subito dimostrò di conoscere il contesto in cui operava: una terra in cui bisognava evitare di fare “pazzie”, come per esempio presentare un ricorso per contestare l’esclusione da un appalto. Le gare, d’altronde, erano quasi truccate. Nel 2007, Li Pera è stato condannato a due anni e otto mesi per associazione mafiosa. A collegarlo alla regia della spartizione dei lavori è stato anche Giovanni Brusca, il boss di San Giuseppe Jato. Ai magistrati, Siino e Brusca hanno raccontato che Li Pera aveva le doti giuste per garantire il mantenimento degli equilibri tra le imprese. Era l’era in cui vigeva il cosiddetto pass, la disponibilità a farsi da parte una volta appreso che un appalto era stato già concordato a monte tra impresa e stazione appaltante.

La condanna arriva dopo che nel 1993 – in seguito all’arresto nel blitz nato dal dossier Mafia e appalti – Li Pera aveva iniziato a collaborare con la giustizia. Dal programma di protezione era poi uscito volontariamente nel 2001, con l’intento di tornare a fare l’imprenditore in Sicilia. Il suo contributo alle indagini ha comunque sempre fatto discutere e non ha mai convinto del tutto. “Non solo ha taciuto la propria vicinanza a soggetti di spicco di Cosa nostra, ha anche continuato a curare i propri interessi imprenditoriali avvalendosi dei precedenti contatti criminali”, rimarcano ora i pm, che oltre alla confisca del patrimonio avrebbero voluto per Li Pera l’applicazione della sorveglianza speciale. Su quest’ultimo punto però il Tribunale si è espresso negativamente, affermando l’impossibilità di dimostrare l’attuale pericolosità sociale del 72enne. Gli elementi a sostegno della contiguità a Cosa nostra si fermano infatti al 2012.

Qualche anno prima Li Pera era stato protagonista di un contatto ravvicinato con una vecchia conoscenza. Era il 2008 quando la Sigi – una delle imprese confiscate al geometra – stipulò un contratto con G-Risk, società di sicurezza che in quel periodo si occupava dei cantieri di un’impresa impegnata nella realizzazione di alcuni parchi eolici in Sicilia. Opere che avevano visto il coinvolgimento, in fase di sviluppo dei progetti e di avvio dei lavori, di Vito Nicastri e Francesco Scirocco; il primo ritenuto tra i più potenti prestanome di Matteo Messina Denaro, il secondo un imprenditore contiguo alla famiglia mafiosa dei barcellonesi. Rappresentante legale della G-Risk era Giuseppe De Donno, l’ex capitano del Ros dalle cui indagini era partito il blitz che aveva portato all’arresto di Li Pera e Siino. Il dossier Mafia e appalti, redatto proprio da De Donno, negli ultimi anni è tornato al centro delle cronache per i ritardi con cui la procura di Palermo estese lo sguardo dagli imprenditori ai politici coinvolti nel sistema affaristico. Una vicenda che, secondo alcuni, potrebbe avere influito nell’accelerazione dell’attentato ai danni del giudice Paolo Borsellino. A sedere nel Cda di G-Risk, che dal 2018 è in liquidazione, è stato – in data successiva al contratto con la società di Li Pera – anche Mario Mori, il colonnello che guidava il Ros. Mori e De Donno, a settembre 2021, sono stati assolti nel processo d’appello sulla trattativa Stato-Mafia, con la Corte che ha ribaltato la sentenza di primo grado. “Avevamo un problema sul cantiere e serviva una persona che potesse gestire quest’attività. Li Pera era una figura competente e di lui mi fidavo. Ero convinto avesse cambiato vita”, commentò De Donno dopo il sequestro dei beni nel 2020.

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