Cento all’ora, forse qualcosa in più: una botta mica male considerando che era partita praticamente senza rincorsa. È la velocità della punizione di Stefan Effenberg contro il Pescara trent’anni fa, quando il tedesco era fiore all’occhiello di quella Fiorentina partita con grandi sogni di gloria e poi finita in Serie B. Tedesco di Amburgo, nato centoventi anni dopo e a quattrocento chilometri di distanza da Nietzsche, ma incarnazione, probabilmente, dell’ideale di spirito libero del filosofo: un ragazzaccio vero, antidogmatico, che pensa e decide per sé.
Figlio di un operaio e di un impiegata, ha fisico e corsa ma anche un’ottima tecnica: comincia nella sua città, col Victoria Amburgo, per poi essere preso dal Borussia Monchenglabadch con cui debutta in Bundesliga.

Si capisce subito che è forte, altrettanto che tecnica e muscoli si associano a un carattere difficile: in Under 21 riesce a farsi cacciare dal mister Berti Vogts e anche nel club ne combina parecchie. Il Bayern però resta affascinato da ciò che fa in campo: ritiene di poterne fare l’erede di Matthaus e lo porta a Monaco nel 1990. Non saranno grandi stagioni per i bavaresi, per Effenberg sì però, visto che segnerà 9 e 11 gol in due stagioni: certo si farà conoscere anche qui per il suo carattere, ad esempio come quando alla vigilia del ritorno della gara di Coppa Uefa contro i semiprofessionisti del Cork dirà del loro capitano Barry “Sono certo che vinceremo noi, mio nonno è più forte di lui”… partita che vedrà il Bayern qualificato, pur non andando oltre l’1 a 1 e col gol del Cork firmato proprio da Barry. Barry che nel post partita dirà: “Se Effenberg pensa che io giochi come suo nonno dovrebbe rendersi conto che stasera qui ha giocato come mia nonna”.

Spigoli che in Baviera lo rendono poco amato in quella fase: avrà modo di rifarsi. Ma a quell’epoca la posizione di Effenberg si fa ancora più in bilico quando torna in rossoblù Lothar Matthaus, tra i colleghi meno amati da Stefan. Perciò, quando bussa la Fiorentina di Cecchi Gori, che punta ad allestire una rosa forte e ambiziosa, per poco meno di 6 miliardi di lire Stefan firma. Come tutta la Viola parte forte: il gioco di Radice è bello e spumeggiante, il primo gol del campionato, una grande punizione contro il Genoa, è proprio di Effenberg. Dopo essere stati per tutto l’autunno nelle prime posizioni, però, Batistuta e compagni perdono in casa con l’Atalanta, Cecchi Gori esonera incomprensibilmente Radice e da lì inizia la caduta. Le prestazioni di Effenberg calano di molto, come quelle del resto della squadra, e il campionato al netto del gol nella vittoria col Pescara di trent’anni fa, e di una doppietta all’Udinese, culmina con la retrocessione in Serie B, e con Stefan, si narra, costretto ad uscire dal Franchi vestito da donna per scappare dalla rabbia dei tifosi.

Sembrerebbe l’epilogo: nel 1994 ci sono i mondiali, sarebbero i primi per Effenberg che teme di perderli giocando in Serie B, ma Cecchi Gori si impunta, precisando che il tedesco non sarà venduto e per contro gli aumenterà lo stipendio e gli sarà affidata anche la fascia di capitano. Alla fine, pur rifiutando la fascia che sarà affidata a Iachini, resterà a Firenze contribuendo con 7 gol al ritorno della Fiorentina di Ranieri in A. Ai mondiali ci andrà, ma non sarà una grande esperienza: nella terza gara del girone, contro la modesta Corea del Sud, i tedeschi in vantaggio per 3 a 0 subiscono due gol in pochi minuti riportando in bilico una gara già chiusa. Vogts per coprirsi ed evitare una beffa toglierà Effenberg per inserire Helmer, con Stefan che sarà subissato dai fischi dei tifosi. La risposta? Un dito medio mostrato per ben due volte ai supporter. La federazione tedesca a quel punto non ha altra scelta che escluderlo: “Faceva caldo, così almeno posso fare venti giorni di vacanza”, dirà Effenberg. E dopo le vacanze torna in Germana, al suo Monchenglabadch, giocando benissimo ed arrivando a vincere da protagonista la Coppa di Germania nel 1995, tuttora l’ultimo trofeo vinto dalla squadra del Basso Reno.

A trent’anni torna al Bayern del nemico Matthaus: nel 1999 quella squadra arriva in finale di Champions, sfiorando la vittoria della manifestazione quando in vantaggio per 1 a 0 subisce due reti dal Manchester United nei minuti di recupero. Sarà motivo di ulteriore astio nei confronti di Matthaus, uscito all’80esimo dal campo: “Sarei rimasto in campo anche con una gamba rotta”, dirà Effenberg che nella sua autobiografia dedicherà un capitolo proprio all’ex interista, dal titolo “Cosa sa di calcio Lothar Matthaus” e composto da una singola, laconica, pagina bianca. Avrà modo di rifarsi Effenberg, vincendo la Champions col Bayern due anni dopo, senza Matthaus e segnando il rigore contro il Valencia di Cuper. L’esperienza al Bayern si conclude non solo con i trofei, ma anche con uno scandalo: l’ex moglie Martina scoprirà una relazione extraconiugale con la moglie del compagno Thomas Strunz. Il commento di Effenberg sarà al solito sopra le righe: “Con Strunz ho condiviso tante cose, anche la moglie”. Tuttavia l’ha sposata ed è tuttora sua moglie. Chiuderà la carriera in Qatar non facendosi mancare altri scandali e altre polemiche. Ha provato a fare l’allenatore con scarso successo passando poi addirittura al lavoro in banca: che nemesi per un “ragazzaccio” nietzschiano.

Articolo Precedente

Napoli-Eintracht, Nino D’Angelo: “Non ci bastano le scuse, la Germania paghi tutti i danni”

next