di Savino Balzano

Sei favorevole o contrario all’introduzione di un salario minimo legale?
In totale franchezza trovo questa domanda estremamente imbarazzante: sarebbe come domandare se siete favorevoli o contrari alla somministrazione di un analgesico, anche forte, ad un paziente che si è appena rotto una gamba. Direi che sono favorevole, ma non nel senso di individuare in questa terapia la risoluzione del problema.

Che ci sia un problema enorme legato alle retribuzioni italiane è verissimo, ma se vogliamo essere seri dobbiamo ragionare sulle cause che hanno condotto a questa catastrofe: ricordiamo ancora che il nostro è l’unico paese europeo ad aver registrato una contrazione dei salari reali dal 1990 ad oggi. Ebbene, per semplificare all’osso, le cause sono a mio avviso principalmente due: entrambe enormi, ma una meno grossa dell’altra.

La prima, quella meno grossa, è la precarietà. Il ragionamento è semplicissimo: rendendo precaria la posizione della stragrande maggioranza dei lavoratori italiani si è di fatto arrestata la dinamica rivendicativa. È facile da capire: se sei precario, rischi di perdere il posto di lavoro da un momento all’altro, non sarai propenso a lottare per rivendicare collettivamente un miglioramento delle tue condizioni di lavoro. Per il concreto e reale timore di perdere quel poco che hai, tenderai ad accontentarti.

La seconda, ancora più rilevante, è di politica economica: quello dei lavoratori è un mercato il cui bene scambiato è appunto il lavoro (a fronte di una retribuzione). Politiche economiche regressive, lontanissime dall’espansione votata alla piena occupazione prescritta dalla nostra Costituzione, creano disoccupazione. La disoccupazione altro non è che eccesso di offerta di lavoro: quando c’è più latte di quello che il mercato riesce ad assorbire cosa succede? Crolla il prezzo del latte. Esattamente secondo la stessa logica è crollato il “prezzo del lavoro”, le retribuzioni.

Quello della precarietà è un problema nei decenni alimentato da tutti i governi anche se per la verità il Partito Democratico è oggettivamente la forza politica con le maggiori responsabilità sul punto: Elly Schlein sostiene di voler cambiare rotta rispetto all’agenda perseguita dai suoi attuali compagni di squadra e facciamo di volerle credere e soprattutto confidiamo che riesca a portare a casa i risultati che promette.

Il secondo problema, a mio avviso più grosso del primo (per quanto la precarietà mi riservi notti insonni da tempo immemore), è decisamente più complicato da risolvere perché è alimentato dalle politiche austere di cui la sua amatissima Unione Europea da sempre è vessillifera (senza contare il mentore Romano Prodi): assai di recente la stessa leader dem si è fregiata di essere una federalista europea. Tocca far pace con se stessi su questo o non la si sfanga.

Il salario minimo legale, ammesso che si gestiscano dei limiti intrinseci dello strumento (non sempre ha funzionato bene: talvolta ha indebolito la contrattazione collettiva diventando una zavorra alla crescita stessa dei salari), è un palliativo, una toppa, una stampella: si consideri peraltro che costituisce una cambiale in bianco in mano alla politica. La politica dà e la politica toglie: oggi ti fissa il salario a 9 euro e domani, alimentando la nuova retorica emergenziale sempre incombente, potrebbe togliertelo lasciandoti a piedi (come ha fatto la Fornero con l’articolo 18, per intenderci).

La questione delle retribuzioni italiane è strutturale, sistemica e tocca mettergli un gesso al paziente perché col cortisone la frattura non gliela curi: rafforzare le dinamiche rivendicative della comunità del lavoro è l’unico modo per innescare una spirale virtuosa, abbattendo la precarietà e soprattutto la disoccupazione attraverso politiche economiche espansive, anti regressive e indirizzate alla piena occupazione. Risultano difficilmente conciliabili con la retorica dei conti in ordine.

Chi glielo spiega alla von der Leyen e alla Lagarde? Buona fortuna.

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