“È con grande orgoglio ed emozione che annuncio l’avvio dei lavori per la nuova Pediatria di Padova: un’opera strategica per la sanità in Veneto”. Esattamente un anno fa, nel marzo del 2022, il governatore Luca Zaia presentava con queste parole un investimento da 61 milioni di euro, finanziato con i fondi del Pnrr e interamente a carico del bilancio regionale. Un’opera moderna e all’avanguardia, articolata su 8 piani per oltre 20mila mq di superficie, con una capacità di 168 posti letto. Nei lavori di costruzione è però riuscita ad infiltrarsi, attraverso la catena dei subappalti, un’impresa edile colpita in questi giorni da una interdittiva antimafia della Prefettura di Padova perché ritenuta vicina alla ‘ndrangheta cutrese della cosca Grande Aracri.

Si tratta della Sidem Costruzioni srl, ditta con sede a San Martino di Lupari, comune padovano a mezzavia tra Vicenza e Treviso, la cui legale rappresentante è Giuseppina De Luca. Con un subappalto da 490mila euro la Sidem aveva ottenuto i lavori legati alle gettate di cemento armato per il nuovo polo pediatrico dalla Setten Genesio di Oderzo, in provincia di Treviso, vincitrice nel dicembre 2021 del bando di gara. Secondo quanto sostenuto dal prefetto di Padova Raffaele Grassi, che ha firmato il provvedimento, l’impresa interdetta “è organica e contigua a una delle più potenti cosche che operano in Calabria e nel nord Italia: i Grande Aracri”.

È la famiglia cutrese del boss Nicolino, divenuta egemone degli affari illeciti in Emilia Romagna, bassa Lombardia e Veneto, dopo la violenta guerra di mafia degli anni Novanta per il controllo del territorio, costata decine di morti e conclusa con l’uccisione in Calabria del rivale Antonio Dragone. Giuseppina De Luca è parente di Nicolino Grande Aracri. Suo padre Michele, che lavora alla Sidem come dipendente, è cugino del boss ora in carcere al 41 bis. La penetrazione della cosca calabrese nel nuovo triangolo industriale italiano e la sua trasformazione nella “mafia economica” che infetta il mercato industriale, è stata smascherata e colpita dalla grande indagine Aemilia e dal processo giunto a sentenza definitiva. Da Brescello e dalla provincia di Reggio Emilia i Grande Aracri/Sarcone hanno espanso il loro raggio d’azione a tutta l’Emilia Romagna e alle ricche province sull’altra riva del Po, come testimoniano le collegate inchieste Pesci, Camaleonte, Taurus, Sisma.

In particolare a Padova hanno operato negli anni passati due nomi di spicco della cosca: i fratelli Sergio e Michele Bolognino, entrambi definitivamente condannati in Aemilia. Acquisivano quote di minoranza in imprese del territorio, spesso in crisi, arrivando a controllarne le attività e depredandole di beni e risorse. Senza lesinare nel ricorso alla violenza quando necessario. L’indagine Camaleonte racconta che Michele dice all’imprenditore Stefano Venturin, al quale porteranno via l’impresa GS Automazioni srl: “Se non fai quello che dico io ti spacco le gambe, ti spacco la testa. Tu e la puttana di tua moglie dovete lavorare per me e stare zitti”. I fratelli Bolognino prendono a pugni lui e a schiaffi la moglie che piange, mandando l’imprenditore all’ospedale. Una frase di Michele Bolognino intercettata chiarisce tutto: “I soldi. Con le buone o le cattive”.

Della famiglia De Luca parlano due collaboratori di giustizia emersi durante il processo Aemilia. Antonio Valerio in aula racconta che suo cugino Antonio Brugnano, detto Tartaricchio, ha una sorella andata in sposa a “un De Luca di Capo Colonna, cugino di Nicolino Grande Aracri.” L’altro collaboratore Giuseppe Giglio, la “mente economica” della cosca, racconta alla Dda di Catanzaro che i De Luca lavorarono a raccogliere voti per il candidato governatore della Calabria Mario Oliverio nel 2014. Furono i fratelli Giovanni e Salvatore de Luca a dire a Giglio che i voti a favore di Oliverio (poi eletto presidente della regione) avrebbero fatto contenti i loro cugini Ernesto e Nicolino Grande Aracri. In cambio speravano di portare a casa l’autorizzazione per la costruzione di un centro profughi.

Giuseppina De Luca, legale rappresentante della Sidem, ha già annunciato ricorso al Tar contro l’interdittiva: “Non possiamo farci niente se siamo parenti, ma non posso permettere che la nostra reputazione venga rovinata così. Abbiamo sempre lavorato onestamente e non abbiamo nulla da nascondere. Quelle fatte nei nostri confronti sono accuse infamanti.” Di tutt’altro tenore la dichiarazione alla stampa del prefetto Raffaele Grassi, che firma l’interdittiva: “Il provvedimento conferma quanto andiamo sostenendo sulla ineludibile necessità di fare tutti muro contro le penetrazioni criminali. Le mafie sono dietro l’angolo e se non agiamo assieme va a finire che le cosche mafiose acquisiranno sempre maggiori spazi economici e operativi, generando una ricchezza sporca e puzzolente.”

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