Il 9 marzo Il Resto del Carlino riportava virgolettato un comunicato del Comune di Bologna: “I sottotitoli sono delle brevi frasi abbinate ai toponimi: hanno la funzione di descrivere la persona a cui è dedicato un determinato luogo pubblico (…) nel corso dei decenni i sottotitoli legati alla lotta partigiana sono stati indicati con termini diversi: patriota, patriota del secondo Risorgimento, caduto per la liberazione, partigiano (…)”. Questi ‘sottotitoli’ “vengano uniformati con l’utilizzo del termine ‘partigiano’ o ‘partigiana’, specificando inoltre l’eventuale onorificenza al merito”.

Intervistato dal Corriere il giorno stesso, esprimevo l’opinione che fosse sbagliato rinunciare a definizioni storicamente significative per un termine semplificatorio.
Paolo Soglia immediatamente postava la sua opinione linkando la mia intervista, e ne otteneva forte consenso. Altri si sono pronunciati.

1. Le forme di partecipazione alla Resistenza sono state le più diverse, tutte egualmente importanti, ma non possono essere ridotte alla sola categoria partigiana. Nell’immediato dopoguerra si provvide ai riconoscimenti che distinsero tra partigiani e patrioti e benemeriti, i quali, in forme diverse, avevano partecipato alla Resistenza rischiando la vita come e a volte più dei combattenti stessi, perché il nemico si accaniva sui civili sospettati di sostenere la lotta.

I soldati italiani che hanno resistito a Cefalonia, a Rodi, a Porta San Paolo a Roma non erano partigiani. Non lo erano i 600mila militari italiani che hanno rifiutato la collaborazione con la Germania nazista e la repubblica neofascista italiana, ma la cui scelta è stata determinante. Non è superfluo ricordare che la loro non fu una “normale” prigionia di guerra, ma furono oggetto della vendetta fascista per tramite dei tedeschi. E ancora, gli operai che scioperarono nel marzo 1944, riscuotendo l’ammirazione di Churchill e il disappunto di Hitler, e i contadini che sottraevano il raccolto alle razzie tedesche. Tutti loro hanno rischiato la vita, molti sono stati uccisi direttamente o nei lager tedeschi.

2. Il termine patriota è stato giudicato ambiguo, “parola scivolosa, contesa e contestata. Tutti si ritengono patrioti, anche i repubblichini” (Fulvio Cammarano, 11/3/23). Ma è proprio questo il punto. Le Resistenze europee, e quella italiana in particolare, sono state una grande guerra civile europea attorno a contrapposte concezioni di patria, nazione e Stato. Quelle della Resistenza, democratiche, aperte, fondate sul patto legale, inclusive. Quelle fasciste etniche e razziste, chiuse, esclusive. Nell’un caso lo Stato è istituzione dei cittadini, nell’altro entità etica sopra ai cittadini.

“Con patriota si potrebbe pensare al Risorgimento” (Mirco Dondi, 12/3/23), ma era proprio ciò che si voleva quando si posero quelle targhe. La Resistenza era rappresentata come il secondo Risorgimento, quello che avrebbe superato i limiti del primo e ne avrebbe completato l’opera. Furono sia i comunisti sia gli azionisti a teorizzarlo. A Bologna, quando riaprì nel 1954, il Museo del Risorgimento fu ribattezzato Museo del primo e secondo Risorgimento e così fu, fino al 1990, quando tornò alle origini, benché non esistesse ancora un museo della Resistenza.

3. Questi toponimi sono documenti e monumenti, concepiti in una definita stagione storica, che dovremmo conservare, tutelare e rendere intelligibili per quanto raccontano della nostra storia, della costruzione della Repubblica e della democrazia.

Si obietta che la maggior parte delle persone non capirebbe. Forse la maggior parte delle persone non capisce l’architettura rinascimentale e le idee filosofiche che ne stanno alla base, ma non per questo abbattiamo i palazzi rinascimentali per sostituirli con edifici attuali. Così come segnalazione e spiegazione delle architetture notevoli si trovano su guide turistiche e su cartigli, le targhe possono essere corredate di una spiegazione che ha il dovere di essere chiarificatrice e non semplificatoria. Questa potrebbe essere “partecipante alla Resistenza antifascista 1943-1945”, o “Resistente antifascista 1943-1945”, espressione esatta e che lascia spazio a ogni ulteriore precisazione e approfondimento.

4. Sul piano politico, si dice che si intende valorizzare la Resistenza. Ma elidere l’esperienza storica del termine patriota rischia di abbandonarlo nelle mani di chi ha un’idea di patria non corrispondente a quella elaborata dalle culture antifasciste e inverata nella Costituzione.

La Patria non è il paese della stirpe italica, esistente in sé e per sé, che è la concezione delle destre estreme di derivazione fascista; ma è la Costituzione della quale questo paese si è dotato attraverso un’elaborazione politica ed una lotta durissima dal Risorgimento, dall’antifascismo e, soprattutto, nella Resistenza.

5. Il sindaco Matteo Lepore, intervistato su altri temi dal Domani (14/3/23), su questa materia ridimensiona i termini della Commissione Toponomastica – dunque, qualcosa andava aggiustato – e parla di “gran voglia di rissa”, lancia un attacco incomprensibile. Basta dissentire anche vagamente e pacatamente dal Comune su una questione di cultura che si è accusati di volere la rissa? E chi ne sono i fautori? Alessandrini, Soglia, giornalisti autorevoli come Massimo Gramellini, Sergio Rizzo, Luca Bottura, Marianna Aprile? O ancora Corrado Augias?

Intervenire in una discussione sulla cultura storica e sul valore civico del patrimonio culturale della città non è partecipare a una rissa, né tantomeno averne una “gran voglia”. Pensavamo ad una città che discute di cultura e di come renderla massimamente accessibile. A questo proposito, a chi ha osservato che i cittadini non possono capire termini come “Patriota del secondo Risorgimento” si può rispondere che possono capire ancora meno se li si lascia senza risorse, senza un museo della Resistenza ad esempio, che è chiuso da oltre tre anni e che, nonostante la sua modestia, riusciva ad essere frequentato da numerose scolaresche e gruppi di adulti.

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