Agosto 1999. Vivevo a Gerusalemme e per motivi di studio andai a Dublino, Irlanda. Iniziai le mie ricerche, ma controvoglia. Dopo la prima settimana, all’improvviso un impulso irrefrenabile mi afferrò e non mi lasciò. Traccheggiai per qualche ora, ma l’idea che covavo, almeno da venti anni, mi travolse. Fui costretto a sedermi alla scrivania e, aperto il piccolo portatile, iniziai a scrivere con frenesia, senza stancarmi per sei giorni di seguito. Non mangiai né dormii se non pochi sprazzi, quando cadevo stremato senza nemmeno accorgermi. Quando finii di scrivere, una pace sconfinata s’impossessò di me e non desideravo altro che tornare a Gerusalemme, ma passando per Genova.

Trascorsi poco meno di un mese a mettere a posto, rivedere, limare, togliere, aggiungere, pulire lo scritto che risultò circa un centinaio di pagine fitte.

Non avevo mai scritto un romanzo in vita mia, ma di questo ero soddisfatto nel mio inconscio, e lì rimase, finché non consegnai il manoscritto a mio fratello Calogero, storico e bibliotecario, competenza assoluta in fatto di libri e romanzi. Gli dissi: “Sii spietato. Se mi dirai di pubblicarlo, lo pubblicherò, se lo stronchi, lo butto nella spazzatura”. Dopo una settimana, mio fratello tornò e con il suo solito ermetismo laconico disse: “Devi pubblicarlo”. Non una parola di più. Non conoscevo editori. Mandai il testo a Salvatore Giannella, uomo di eccelsa cultura, direttore di Oggi, di Europeo, di Airone e, infine, proprietario dell’Editoriale Delphi di Milano, da lui stesso fondato. Iniziò a leggere il manoscritto alle 23,00 e la mattina alle 04,30 mi sveglia e mi dice: “Non ho chiuso occhio. Ho iniziato a leggerlo e dovevo arrivare alla fine. Non ho mai pubblicato romanzi, ma per chiudere la casa editoriale voglio pubblicarlo io”.

Prima di partire per Gerusalemme, gli scrissi ogni manleva e lui pubblicò il mio primo e unico romanzo, fino ad oggi: Habemus Papam, Francesco. Il romanzo è un giallo, un thriller, un dramma a più registri, scorrevole nella lettura come lo fu nello scritto. La storia si svolgeva tutta nel conclave dopo la morte di Papa Stanislao (il papa polacco). Chiuse le porte col rituale del cerimoniere “Extra omnes – Fuori tutti”, dentro la Sistina avvennero cose inimmaginabili, colpi di scena, elezioni contestate e ripetute, tutto congiurò contro i cardinali che “furono costretti” a scrivere nella scheda il nome di uno sconosciuto, assente dal conclave stesso.

Nessuno capì più nulla. Qualcuno cominciò a riflettere e intanto fuori l’ansia s’impossessava della folla che aspettava; i giornalisti annaspavano nel cercare di ammazzare il tempo con le più ostrogote immaginazioni, finché un elicottero sorvolò San Pietro. Ogni ipotesi ebbe cittadinanza: spionaggio, attacco alla Sistina, morte di un cardinale… Intanto l’elicottero che ripartiva sembrava più leggero. Il comignolo sul tetto aspettava come suo solito la fumata ritardataria, la gente mormorava, agitandosi. Il conclave ancora in corso ritardò e ritardò ancora; qualcosa di grosso doveva essere successo. Cosa?

Dopo tre ore, la fumata fu decisamente bianca, così bianca che sembrava lavata col candeggio. Si aprì il balcone centrale e il cardinale protodiacono annunciò stridulo: “Annuntio vobis gaudium magnum: Habemus Papam… Francesco”. Il settimo giorno della trama del romanzo il primo Papa nella storia, venuto “dalla fine del mondo”, portò in dote alla Chiesa e al mondo un programma che è il suo nome: Francesco.

Francesco iniziò il suo ministero di Vescovo di Roma e Papa della Chiesa cattolica. Fu la rivoluzione da nessuno immaginata, da molti auspicata, dai più aborrita. La scena di Francesco sulla piazza di Assisi si ripeté dopo 800 anni. Duemila anni di storia come il giorno di ieri che è passato, come una veglia nella notte. Nulla sarà più lo stesso, anche in mezzo agli eventi traumatici. Quando la Chiesa va dietro al Vangelo, non può che venire la rivoluzione radicale, forte e dolce, come è il volto di Papa Francesco.

Tredici anni prima del suo arrivo, un piccolo e insignificante prete di Genova, osservando il mondo dalla prospettiva di Gerusalemme, vide con chiarezza la “necessità” di un Papa che assumesse il nome di Francesco per dare inizio a un nuovo mondo perché la Chiesa di ieri era passata.

Nel 2011, dietro forte insistenza dei Gabrielli Editori, Lucia e Cecilia Gabrielli di San Pietro in Cariano (VR), aggiornai il romanzo a Benedetto XVI e alla decadente figura del segretario di Stato, Tarcisio Bertone, che nel romanzo è storpiato in Tarcisio Burlone. Spedii il testo mentre ero in cardiologia in terapia intensiva, avendo avuto tre infarti. Era il 13 febbraio 2012, un anno prima che dal balcone centrale di San Pietro veramente si udisse la voce stridula del cardinale protodiacono: “Annuntio vobis… Habemus Papam, Francesco!”.

Nessun miracolo, nessuna profezia, solo una necessità storica, necessaria perché da nessuno attesa e tanto meno sospettata. Buon Anniversario, Papa Francesco. Lei non ha fatto primavera, come la rondine, ma ha posto mano all’aratro e da ora in poi nessuno potrà più tornare indietro. Grazie, per esserci.

Articolo Successivo

Ubriacati dalla religione neoliberista, non sappiamo dove andare. Dov’è il nostro ‘altrove’?

next