L’amministrazione Biden sta considerando la possibilità di ripristinare l’obbligo di detenzione per le famiglie che varcano illegalmente la frontiera con il Messico. Non ci sono conferme in merito – “Non vi dico né sì né no”, ha detto ai giornalisti la portavoce della Casa Bianca, Karine Jean-Pierre – ma la notizia è stata fatta filtrare ai media americani da fonti della Homeland Security che stanno lavorando al piano. Si tratterebbe di un clamoroso voltafaccia da parte di Joe Biden, che in campagna elettorale nel 2020 aveva detto che “i bambini devono essere immediatamente rilasciati dalle strutture di detenzione insieme alle loro famiglie”. Di fronte all’aumento considerevole di arrivi alla frontiera e alla scadenza, il prossimo 11 maggio, di una misura anti-immigrazione, l’amministrazione Usa pensa dunque a nuove misure restrittive. Le critiche dei gruppi per i diritti sono già arrivate. “Imploriamo l’amministrazione di rifiutare questa pratica vergognosa e retrograda”, ha commentato Sergio Gonzales di Immigration Hub.

La pratica di detenzione per le famiglie – quindi adulti con minori – che cercano di entrare illegalmente negli Stati Uniti dal Messico non è nuova. Ne avevano fatto ampio uso, tra mille polemiche, le amministrazioni di George W. Bush e Barack Obama. Una struttura di detenzione era stata chiusa in New Mexico nel 2014 per le condizioni inumane dei detenuti (donne e bambini vivevano in roulotte circondate dal filo spinato). Nell’ambito di una strategia volta a bloccare gli arrivi dal Sud, Donald Trump aveva rilanciato la detenzione per le famiglie con minori, allargandone indefinitamente i tempi. I migranti potevano cioè essere detenuti a tempo indeterminato prima di essere espulsi senza che il loro caso venisse considerato da un tribunale. A questo, l’amministrazione Trump aveva aggiunto una pratica particolarmente brutale: dividere i minori dalle famiglie (circa 5.500 tra bambini e adolescenti erano stati separati dagli adulti). Joe Biden aveva più volte criticato la politica, definendola “inumana”. Nel caso di una vittoria alle presidenziali, aveva detto, detenzione per le famiglie e separazione dei minori sarebbero state abolite. Cosa che Biden, una volta alla Casa Bianca, ha fatto. Alle famiglie entrate illegalmente è stato sinora concesso di muoversi liberamente sul suolo degli Stati Uniti. Con alcuni obblighi: tra questi, quello di presentarsi regolarmente a un ufficio dell’immigrazione o indossare dei braccialetti per identificare la posizione.

A quanto pare, le autorità Usa stanno ora pensando di tornare al passato. La scelta ha soprattutto una ragione. Il prossimo 11 maggio è in scadenza il Title 42, la misura approvata nel 1944 che permette le espulsioni in presenza di un’emergenza sanitaria. Donald Trump ha usato la norma per rimandare a casa gli illegali durante la pandemia, senza per l’appunto la verifica giudiziaria del loro diritto a restare sul suolo americano. Biden ha confermato la norma che però scade l’11 maggio. A quel punto, è il timore dell’amministrazione, migliaia di persone potrebbero ammassarsi al confine meridionale, causando nuovi problemi a un sistema di accoglienza già in difficoltà. Le strutture detentive al confine meridionale sono strapiene. Le condizioni di vita dei migranti sono pessime. I tribunali non riescono a tenere il passo degli arrivi. Molti illegali vengono rilasciati e fanno perdere le loro tracce. Un aumento significativo degli arrivi sarebbe un passo ulteriore verso il collasso.

Di qui la scelta di tornare a detenere le famiglie. Allo Homeland Security pensano infatti che la minaccia di detenzione farà desistere molti dalla partenza. A differenza dagli anni di Trump, gli attuali funzionari della sicurezza nazionale pensano a un limite temporale. Le famiglie non potranno più essere detenute per un tempo indefinito, ma ci sarà un limite di 20 giorni entro i quali un tribunale dovrà considerare la loro posizione. A Washington tengono anche molto a distinguersi dalle politiche della precedente amministrazione. “Continuiamo a dare priorità a procedure umane per i migrant”, ha detto Luis Miranda, portavoce dello Homeland Security. Fuori delle dichiarazioni ufficiali, è però chiaro che, dopo averle criticate, Biden sta tornando a molte delle politiche del suo predecessore. La cosa fa infuriare i gruppi per i diritti che accusano il presidente di ipocrisia e di aver tradito le promesse. “Cancellare la pratica inumana della detenzione per le famiglie è stata una delle poche cose positive che Biden ha fatto in tema di immigrazione – ha detto Leecia Welch, un’avvocata – È scoraggiante che si torni ora a questa pratica dell’era Trump”.

Non è del resto soltanto la questione delle famiglie a preoccupare attivisti e gruppi per i diritti. Gran parte delle promesse fatte da Biden in campagna elettorale – si potrebbe forse dire tutte – sono state disattese. Negli ultimi mesi l’amministrazione ha annunciato una serie di misure che intendono limitare fortemente i flussi migratori. Tra queste, c’è per esempio la decisione di non concedere asilo a quei migranti che non ne abbiano prima fatto richiesta in uno dei Paesi di passaggio verso gli Stati Uniti. Il 5 gennaio scorso, l’amministrazione ha anche annunciato che i cittadini di Cuba, Nicaragua, Haiti e Venezuela (Paesi con cui non esistono accordi bilaterali sull’immigrazione) verranno immediatamente riportati in Messico nel caso tentino di varcare illegalmente la frontiera. Contestualmente, il governo degli Stati Uniti ha annunciato che fino a 30mila cittadini di questi quattro Paesi potranno fare richiesta di asilo, a condizione che la richiesta avvenga online, che i richiedenti entrino nel Paese con un volo aereo e che abbiano negli Stati Uniti uno sponsor finanziario. Condizioni che sono immediatamente apparse un modo per bloccare, non facilitare, gli arrivi. Pochi migranti sono infatti in grado di esaudire richieste di questo tipo.

La stretta ha comunque avuto i primi effetti. Gli agenti del Border Patrol hanno operato 128.410 fermi di migranti al confine con il Messico nel mese di gennaio. I fermi erano stati il 42% in più a dicembre: segno che, per l’appunto, i flussi cominciano a farsi meno importanti. Una politica migratoria più restrittiva è del resto in sintonia con orientamenti più recenti dell’opinione pubblica americana. Un sondaggio Associated Press-NORC Center for Public Affairs Research mostra che quattro americani su dieci ritengono che gli Stati Uniti dovrebbero accettare un minor numero di migranti. Due americani su dieci vorrebbero invece più accoglienza. Un terzo circa degli intervistati ritiene che i numeri attuali siano accettabili. Biden e i democratici, con la nuova strategia, rischiano dunque di perdere l’appoggio di parte del mondo ispanico e dei settori più progressisti. Allo stesso tempo, questa politica va incontro a una sensibilità largamente diffusa nell’America di oggi e può contribuire a smontare gli attacchi dei repubblicani che accusano Biden di aver “aperto la frontiera” a malviventi e trafficanti di droga.

Detto questo, sarà facile annunciare la nuova politica. Molto più difficile sarà metterla in atto. Come detto, le strutture dell’Immigration and Customs Enforcement (ICE) alla frontiera già traboccano di migranti che vivono in condizioni pessime. Aggiungere agli attuali detenuti anche i nuclei familiari sarà un problema. Anche perché esiste una legge del 1997, il “Flores Settlement”, che impone determinati standard per ospitare i minori in strutture detentive. Sono necessari luoghi di gioco e ricreazione, cure sanitarie, spazi che possano riunire i più piccoli ai genitori. Per mettere a regola di legge le strutture ci vogliono investimenti che l’ICE non ha, senza contare i costi ulteriori per il mantenimento dei nuclei familiari e per il loro probabile ritorno in Messico o in altri Paesi di origine. Fin da ora, dunque, si addensano nubi minacciose sulla possibile scelta dell’amministrazione Biden. La nuova politica ha un costo che è finanziario ma, ovviamente, anche politico. Non sarà facile per Biden, un tempo sostenitore di una “politica più umana” di quella di Trump, giustificare eventuali immagini di bambini chiusi in centri di prigionia.

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