Non è la prima volta che la Corte costituzionale decide sul dovere dello Stato di sostenere le persone danneggiate da una vaccinazione. Nel corso del tempo quei verdetti hanno rafforzato il diritto a ricevere assistenza anche economica come “compensazione del sacrificio individuale per un interesse collettivo“. E non importa che che questo significhi incidere sul bilancio pubblico proprio perché la Consulta ha reso granitico il principio nel corso del tempo che è “la garanzia dei diritti incomprimibili ad incidere sul bilancio, e non l’equilibrio di questo a condizionarne la doverosa erogazione”. Ed è così che il 6 marzo scorso è stata dichiarata incostituzionale la norma che fa decorrere il termine triennale di decadenza per la richiesta di indennizzo del danno vaccinale da quando chi ne aveva diritto ha saputo del danno e non da quando ha saputo anche della sua indennizzabilità. Si tratta dell’articolo 3 comma 1 della legge 201o del 1992 nella parte in cui dopo le parole “conoscenza del danno” non prevede “e della sua indennizzabilità”.

La pronuncia è arrivata con la sentenza 35 del 2023 (redattore Stefano Petitti) dopo che la Cassazione, sezione Lavoro, aveva sollevato un conflitto per il caso di una bimba danneggiata dal vaccino contro il morbillo, ormai 21 anni fa. Somministrazione che le aveva innescato una encefalopatia che la costringe alla sedia a rotelle. Per oltre 20 anni i genitori hanno sfidato legalmente lo Stato per ottenere un riconoscimento, ma nel corso del tempo le varie istanze erano state respinte: il vaccino era raccomandato, ma non obbligatorio (e quindi non indennizzabile) oppure perché l’istanza presentata con un presunto ritardo ovvero dopo i tre anni. Poi con la decisione della Consulta del 2012 e il relativo riconoscimento all’indennizzo per i danneggiati da vaccinazioni non obbligatorie qualcosa è finalmente cambiato. “Finalmente abbiamo aperto la porta anche a molti altri” la riflessione della mamma di F., oggi una giovane donna. Il verdetto apre quindi un nuovo percorso per chi ha invano in passato ha bussato troppo tardi alle porte dello Stato per essere risarcito.

Per i giudici il range temporale, che impediva l’indennizzo, deve essere eliminato. I giudici hanno osservato che l’effettività del diritto all’indennizzo impone di far decorrere il termine per la richiesta dal momento in cui l’interessato ha avuto conoscenza non solo del danno, ma anche della sua indennizzabilità, in quanto, prima di tale momento, il diritto all’indennizzo non è concretamente esercitabile. Una soluzione differente “vanificherebbe il diritto medesimo, viceversa garantito dai principi costituzionali di solidarietà sociale e tutela della salute, essendo il danno vaccinale un pregiudizio individuale sofferto nell’interesse della collettività, la quale deve pertanto farsene carico”. Ma non solo la Consulta ritiene “illogica” la “pretesa” dello Stato che i familiari o i danneggiati dovessero rispettare un termine per la presentazione della richiesta di indennizzo per cui – al momento della conoscenza del danno – non avevano titolo. Titolo o meglio diritto acquisito proprio in virtù della sentenza dei giudici costituzionalisti del 2012.

La Consulta, nella sentenza di 15 pagine, ricorda che proprio alla base delle pronunce precedenti (1998 vaccino contro la poliomielite, 2000 vaccino contro l’epatite B, 2012 vaccino contro morbillo, parotite e rosolia, 2017 vaccino antinfluenzale e 2020 epatite A) vi “è la considerazione che la mancata previsione del diritto all’indennizzo in caso di patologie irreversibili derivanti da determinate vaccinazioni raccomandate” lede gli articoli 2 (sui diritti inviolabili), 3 (sull’eguaglianza) e 32 (tutela della salute) della Costituzione “in quanto le esigenze di solidarietà sociale e di tutela della salute del singolo richiedono che sia la collettività ad accollarsi l’onere del pregiudizio individuale, mentre sarebbe ingiusto consentire che siano i singoli danneggiati a sopportare il costo del beneficio anche collettivo (sentenza n. 107 del 2012). L’estensione dell’indennizzo ai citati casi di vaccinazioni raccomandate è stata, dunque, volta a “completare il ‘patto di solidarietà‘ tra individuo e collettività in tema di tutela della salute” e a rendere “più serio e affidabile ogni programma sanitario volto alla diffusione dei trattamenti vaccinali, al fine della più ampia copertura della popolazione” (sentenza n. 268 del 2017). Ora la parola passa di nuovo alla Cassazione e si aprirà un nuovo capitolo per le persone danneggiate dai vaccini.

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