Quante donne ci sono al comando nel mondo? Poche. Dei 382 leader che si sono alternati al vertice degli organi internazionali come Onu, Unicef, Banca Mondiale eccetera, dal 1945 in poi, solo 47 sono state donne, il 12%. Nonostante negli ultimi anni la situazione sia migliorata il divario rimane ancora enorme: solo un terzo delle istituzioni multilaterali è attualmente guidato da donne. Lo rivela un rapporto di GWL Voices for Change and Inclusion, un gruppo di ricerca e advocacy composto da 62 donne che ricoprono o hanno ricoperto cariche importanti negli organi internazionali.

L’organizzazione ha mappato i casi di leadership femminile nelle 33 principali istituzioni internazionali a partire dalla fine della seconda guerra mondiale, quando la maggior parte di queste è stata creata. Sono ben 13 a non aver ma avuto nella loro storia una donna come figura apicale: tra queste le quattro grandi Banche di sviluppo, la Banca mondiale, le Nazioni Unite, l’Organizzazione internazionale per l’energia atomica e l’Organizzazione per l’alimentazione e l’agricoltura. Per alcuni di questi consessi vale il detto ‘meglio poco che nulla’: sono 5 che hanno eletto, fino ad oggi, una sola donna leader. Si tratta dell’Unione Internazionale delle telecomunicazioni, guidata dal 2022 dall’americana ​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​Doreen Bogdan-Martin; dell’Organizzazione internazionale dell’aviazione civile, con a capo la cinese Fang Liu dal 2015 al 2021; l’Alto Commissariato per i rifugiati, che negli Anni Novanta ha visto al suo apice la diplomatica giapponese Sadako Ogata; il Programma di Sviluppo delle Nazioni Unite, guidato dalla neozelandese Helen Clark dal 2009 al 2017; l’Organizzazione mondiale del commercio che attualmente ha a capo la nigeriana Ngozi Okonjo Iweala. Oltre a lei ad avere in questo momento figure di comando femminili sono Ente delle Nazioni Unite per l’uguaglianza di genere e l’empowerment femminile (Sima Sami Bahous), l’Istituto di ricerca Onu per il disarmo (Izumi Nakamitsu) e quello per il controllo della droga e la prevenzione dei crimini (Ghada Waly), il Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (Inger Andersen), il Fondo delle Nazioni Unite per la Popolazione (Natalia Kanem), Unicef (Catherine M. Russell), Unesco (Audrey Azoulay), il Fondo monetario Internazionale (Kristalina Georgieva).

Con questo studio, presentato durante la riunione della Commissione sullo status delle donne delle Nazioni Unite di questa settimana, GWL chiede una rappresentanza proporzionale delle donne a tutti i livelli delle organizzazioni, dagli uffici sul campo alle sedi centrali, oltre che nelle segreterie e negli organi direttivi. “I numeri contano – ha dichiarato a Reuters Maria Fernanda Espinosa, ex ministra degli Esteri ecuadoriana, presidente dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel biennio 2018-2019 e ora parte del gruppo di advocacy – siamo il 50% della popolazione mondiale, quindi è una questione di giustizia demografica, tanto per cominciare. Ma credo anche che le donne portino con sé questa combinazione di leadership, saggezza ed empatia e, a volte, una comprensione ancora maggiore di ciò che accade nel mondo”. La nomina dell’ex amministratore delegato di Mastercard Ajay Banga all’apice della Banca Mondiale, dopo le dimissioni di David Malpass, secondo lei, è stata un’occasione persa. Ci sono “centinaia di donne con un background e qualifiche simili” a quelle dell’economista indiano. La versione integrale del report sarà disponibile a settembre. Intanto GWL spingerà per “accelerare la transizione verso una leadership equilibrata dal punto di vista del genere” nelle governance internazionali.

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