Il Consiglio superiore della magistratura si costituirà parte civile anche nel secondo processo per corruzione in atti giudiziari a carico di Luca Palamara. Dopo il rinvio di una settimana della pratica – causato da un intenso dibattito interno – l’aula di palazzo dei Marescialli ha ribaltato la sorprendente proposta arrivata dal Comitato di presidenza, guidato dal neo-vicepresidente in quota Lega Fabio Pinelli. Cos’era successo? Secondo Pinelli, il presidente della Cassazione Pietro Curzio e il procuratore generale Luigi Salvato (esponente di Unità per la Costituzione, la stessa corrente di cui Palamara era il dominus) i reati contestati all’ex pm radiato non hanno causato all’organo danni d’immagine, perché – scrivevano – “non emerge dalla contestazione un’ipotesi di illecita utilizzazione di specifici poteri e funzioni consiliari”.

Eppure, nel procedimento in corso a Perugia, Palamara è stato rinviato a giudizio per rispondere di fatti commessi proprio negli anni in cui era un (influente) membro del Csm: secondo l’accusa, si era messo a disposizione per “aggiustare” gli affari giudiziari di due imprenditori in cambio di varie utilità, tra cui l’uso gratuito di due scooter, soggiorni a Capri e a Roma e la partecipazione, da socio occulto, agli utili di un locale su una spiaggia in Sardegna. L’udienza preliminare è in programma per il 7 marzo: lo scorso 10 gennaio l’Avvocatura dello Stato aveva chiesto lumi a Roma sulla volontà di costituirsi, anché perché era stato lo stesso pm di Perugia, nella richiesta di rinvio, a individuare il Csm come parte offesa nella sua immagine istituzionale dalle condotte di Palamara. Ma il Comitato di presidenza, a sorpresa, aveva deciso di esprimersi per il no. Una mossa singolare, considerate le promesse di rinnovamento e trasparenza fatte da Pinelli al momento dell’elezione, che non era stata compresa da più di un consigliere.

E ora infatti il plenum ha sconfessato la posizione del vicepresidente e dei due capi della Cassazione, esprimendosi a larghissima maggioranza a favore della richiesta di danni a Palamara. Un voto simbolico che apre anche un mini-caso politico: la proposta contraria a quella dell’ufficio di presidenza a guida leghista, infatti, è stata presentata dai quattro consiglieri scelti da Fratelli d’Italia (Felice Giuffrè, Daniela Bianchini, Isabella Bertolini e Rosanna Natoli) e dal laico in quota M5s Michele Papa. E ha raccolto ben 23 consensi, compreso quello dell’altra laica scelta dal Carroccio, Claudia Eccher. La proposta pro-Palamara dei vertici, invece, si è fermata a cinque voti: oltre ai tre componenti del Comitato, l’hanno sostenuta solo il laico di Forza Italia Enrico Aimi e quello di Azione-Italia viva Ernesto Carbone. Astenuta Maria Luisa Mazzola (togata di Magistratura indipendente), mentre non hanno partecipato al voto il togato di UniCost Marco Bisogni (per incompatibilità) e l’indipendente Andrea Mirenda (assente per malattia).

Prima del voto, Pinelli ha preso la parola per chiarire che la sua posizione, “lungi dall’essere condizionata o addirittura determinata da pregiudizi di carattere politico“, era “fondata su questioni di carattere giuridico”, nonché “coerente con la scelta storicamente consolidata” del Csm di non essere parte dei contenziosi che hanno coinvolto suoi componenti. In realtà però l’istituzione è già parte civile nel primo processo per corruzione contro l’ex magistrato e la sua amica Adele Attisani, in corso in primo grado sempre nel capoluogo umbro. “La scelta di non costituirsi non costituirebbe un passo indietro rispetto ai propositi di rinnovamento etico e di tensione morale che ci siamo proposti” ha sostenuto Pinelli. “Saremo giudicati se sapremo risolvere i problemi della scopertura dell’ufficio gip di Roma, non sulla scelta di costituirsi o meno parte civile nel processo a Palamara”, ha argomentato. I suoi colleghi, però, evidentemente non la pensavano così.

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