Si studia poco, si hanno poche competenze informatiche e digitali ma anche cognitive al punto da registrare un ritardo nel confronto con altre economie avanzate, nel possesso di capitale umano e nella capacità di valorizzarlo. Nel 2021 la quota di italiani di età compresa tra 25 e 64 anni che ha conseguito il diploma di scuola secondaria di secondo grado era pari al 62,7%, incrementata di +0,9% rispetto al 2018 ma comunque inferiore di oltre sedici punti percentuali rispetto alla media Ue 27 (79,2%). Lo dice il rapporto 2022 dell’Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche (Inapp), denominato “Lavoro e Formazione: l’Italia di fronte alle sfide del futuro” e realizzato su un campione di 45mila cittadini dai 18 ai 74 anni.

Lo studio rivela che sono 11,7 milioni gli italiani che non si sono mai iscritti alle superiori, e quasi 4 milioni quelli che interrotto il loro percorso di istruzione senza mai raggiungere il diploma di maturità. La presentazione dell’indagine è fissata per il 7 marzo, ma le anticipazioni sono già in grado di far suonare il campanello d’allarme. Oltre alla perdita di chi non ha mai messo piede in una scuola secondaria di secondo grado, c’è da registrare l’esistenza di 5 milioni di diplomati che si sono iscritti a percorsi universitari senza portarli a termine, con un dispendio di tempo e di risorse significativo. La porzione di popolazione con titolo di studio più elevato è composta da 6,1 milioni di laureati (14%) e 1,3 milioni di persone con master e dottorati di ricerca (il 3%) e le donne continuano ad avere livelli d’istruzione più elevati.

Numeri che hanno una ripercussione diretta sul mercato del lavoro. Dall’indagine emerge che gli over 50 occupati sono tre volte gli under 30. L’accesso al mondo del lavoro per i giovani appare ancora troppo complicato – tra impieghi discontinui e precari – e largamente informale, tanto che la transizione verso un’occupazione stabile rimane lenta. Sotto i trent’anni solo un giovane su cinque ha già avuto un’occupazione e del resto va precisato che il 50% degli intervistati è ancora impegnato nel percorso di studi. Ogni 100 persone con un titolo di studio superiore, 77 hanno il diploma (1/3 ha un diploma tecnico e un altro 1/3 un liceo) e 23 la laurea (e di questi 4 hanno un master o un PhD). Solo il 50% di chi ha conseguito un diploma liceale ha preso anche la laurea.

“Sono dati che fotografano in modo abbastanza netto il nostro sistema di istruzione e di formazione professionale – ha spiega Sebastiano Fadda, presidente dell’Inapp – che deve essere migliorato per garantire una maggiore aderenza dei percorsi formativi ai bisogni di competenze che emergono dall’evoluzione della società e per garantire un adeguato sistema di orientamento e di supporto, capace di rompere la frequente dipendenza dei percorsi formativi dal retroterra culturale e reddituale dei genitori”. E aggiunge: “Orientamento, investimenti nella scuola, sostegno ai più fragili sono attività da sostenere per garantirsi nuove generazioni integrate e adeguate ai tempi, sia come cittadini sia come lavoratori”.

Nel rapporto si analizza anche la partecipazione ad attività formative che coinvolge circa il 19% del totale delle persone tra i 18 e i 74 anni. Nel dettaglio, la formazione interessa meno chi non ha un lavoro rispetto agli occupati, in controtendenza rispetto al resto d’Europa. Su 100 persone in cerca di lavoro, meno di 12 hanno seguito uno o più corsi di formazione, mentre tra gli inattivi il dato si ferma addirittura al 4,5%. Sempre con riferimento a chi non ha un lavoro, per gli uomini si osservano livelli di partecipazione a corsi di formazione quasi doppi rispetto alle donne. Rispetto all’età, tra gli over50 si registrano i livelli di partecipazione più bassi. Al contrario, i laureati registrano i livelli più alti (10%).

Ma il dato più preoccupante è forse quello che riguarda l’alfabetizzazione (literacy): l’Italia rimane ben al di sotto della media Ocse, collocandosi agli ultimi posti della graduatoria internazionale. Anche nel caso del dominio riferito alla numeracy, la capacità di svolgere i calcoli e le operazioni più semplici, nel confronto con gli altri partecipanti al Programma il nostro Paese risulta abbondantemente al di sotto della media Ocse e dei valori registrati nella maggior parte delle altre economie avanzate. Il punteggio medio di literacy in Italia è di 250 contro una media Ocse di 266, mentre il punteggio ottenuto nella numeracy è 247 contro una media Ocse di 262.

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