L’apparizione improvvisa di Joe Biden nel palazzo presidenziale di Kiev mira a riaffermare l’appoggio statunitense all’Ucraina e ai suoi cittadini, segnati da un anno di guerra aspra, dalla nuova offensiva russa e da un inverno affrontato tra continue interruzioni di energia. È una mossa, quella di Biden, che vuole trasmettere un senso di normalità, di vita che prosegue nonostante tutto. “Un anno dopo, Kiev resiste. L’Ucraina sta in piedi. La democrazia sta in piedi”, ha detto il presidente Usa. La visita ha però un valore che va ben oltre il sostegno statunitense al Paese martoriato dalla guerra. Con la sua apparizione a Kiev, Biden ha simbolicamente inteso riaffermare il ruolo degli Stati Uniti come garante di un ordine globale che l’invasione russa, a giudizio di Washington, mette in pericolo. La visita è dunque una sfida aperta a Vladimir Putin, ma non solo. Il messaggio statunitense, oltre che a Mosca, appare chiaramente rivolto a Pechino. L’Ucraina è diventata, sempre di più, una pedina nel conflitto tra Stati Uniti e Cina.

Mentre Biden va a Kiev, il capo della diplomazia del partito comunista cinese, Wang Yi, arriva infatti a Mosca. L’obiettivo, dicono a Pechino, è quello di illustrare un piano di pace cinese per l’Ucraina. La mossa non è piaciuta a Washington, che in questi mesi ha sempre messo in guardia la Cina da possibili interferenze politiche e militari nel conflitto. In particolare, l’amministrazione Biden ha seguito con preoccupazione l’aumento negli scambi commerciali tra Russia e Cina – soprattutto per quanto riguarda i trasferimenti verso la Cina di greggio, gas e carbone russi, che rischiano di indebolire l’efficacia delle sanzioni occidentali. Negli ultimi giorni si è aggiunto un ulteriore elemento di conflitto. Gli Stati Uniti sono infatti convinti che la Cina sia pronta a inviare armi e munizioni alla Russia. “Siamo molto preoccupati per la possibilità che la Cina fornisca un supporto di materiale letale alla Russia”, ha detto il segretario di Stato Antony Blinken in occasione della Conferenza sulla sicurezza di Monaco. “Sarebbe un problema molto serio per le nostre relazioni con Pechino”, ha spiegato ancora Blinken, secondo cui le aziende cinesi già forniscono supporto non letale alla Russia.

L’accusa è stata subito smentita da Pechino, che parla di “bugie” e di “coercizione e pressione degli Stati Uniti nelle relazioni tra Cina e Russia”. La smentita cinese non ha però calmato l’allarme statunitense. Il tema è stato ampiamente dibattuto nei talk show domenicali delle tv americane, sull’onda anche delle accuse e controaccuse sui presunti palloni spia che non hanno certo contribuito a migliorare le relazioni tra i due Paesi. La possibilità che la Cina possa fornire aiuti militari a Mosca è vista ora come una possibilità reale a Washington e sarebbe, a detta di molti, un punto di non ritorno. “Sarebbe la cosa più catastrofica che potrebbe accadere nei rapporti tra i due giganti”, ha detto a Abc News uno tra i senatori repubblicani più influenti, Lindsay Graham, espressione dell’establishment statunitense in politica estera. “Sarebbe come comprare un biglietto per il Titanic, dopo aver visto il film. Non lo devono fare”.

Alla questione delle presunte forniture di armi alla Russia, si aggiunge il viaggio di Wang Yi a Mosca e la presentazione di un piano di pace per l’Ucraina. I dettagli del piano non sono stati rivelati, anche se si sa che Pechino dovrebbe riaffermare la necessità del “rispetto della sovranità territoriale”. L’attivismo diplomatico cinese (il presidente Xi Jinping terrà, anche lui, un discorso in occasione dell’anniversario dall’inizio della guerra) ha però diffuso ulteriori timori e fastidio a Washington. La Cina, è convinzione americana, cerca di porsi come “key player” nel conflitto e mira a dipingere l’azione di Biden come “arrogante, irrazionale e pericolosa” (sono le parole con cui il Global Times, il tabloid in lingua inglese pubblicato dal Quotidiano del Popolo ha bollato la visita del presidente Usa a Kiev). Non è sfuggito poi a Washington il tono con cui proprio Wang Yi si è rivolto agli europei durante il vertice sulla sicurezza di Monaco. “Cari amici”, li ha definiti l’inviato cinese, precisando che la Cina “non vuole aggiungere benzina al fuoco, né approfittare in alcun modo del conflitto”. Prima di arrivare a Mosca, Wang Yi ha fatto tra l’altro tappa a Budapest, dove ha lodato “la linea politica filo-cinese mantenuta dal governo ungherese nei forum internazionali” (tra l’altro, il più importante investimento estero in Ungheria, per la produzione di batterie per veicoli elettrici, è proprio di un’impresa cinese, Catl).

Il sospetto americano è dunque che, dietro l’offensiva diplomatica cinese, ci sia anche il tentativo di dividere gli alleati occidentali, approfittando della stanchezza delle opinioni pubbliche europee e lusingando le capitali del Vecchio Continente con la promessa di più solidi rapporti commerciali. Questo spiega dunque il tono risoluto con cui Joe Biden è apparso poche ore fa a Kiev. “La guerra di conquista di Putin sta fallendo”, ha detto il presidente Usa, annunciando un ulteriore invio a Kyev di aiuti militari per 500 milioni di dollari: tra questi, munizioni di artiglieria, missili Javelin e cannoni Howitzer (ma non i jet da combattimento e i sistemi lanciarazzi a lungo raggio che gli ucraini da mesi chiedono). A Varsavia, nel discorso che segnerà un anno dall’inizio della guerra, Biden manterrà lo stesso tono, dipingendo ancora una volta il conflitto ucraino come una tappa nello scontro tra democrazia e autocrazia, con la prima che è destinata ad emergere vittoriosa al termine di una guerra lunga e dolorosa.

Nel resuscitare toni da Guerra Fredda, il presidente statunitense non avrà però soltanto come obiettivo la Russia di Vladimir Putin. Riaffermando il ruolo guida degli Stati Uniti a garanzia di un ordine globale liberale, Biden parlerà soprattutto alla Cina di Xi Jinping, che quel ruolo sta ormai apertamente mettendo in discussione. Alle contese su spionaggio, tecnologia, riarmo, commercio, Taiwan, si è ormai aggiunta un’altra ragione del contendere. Appunto, l’Ucraina.

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