Il 12 gennaio scorso era stato eseguito il sequestro da 40 milioni di euro ad alcuni indagati per truffa. Tra questi anche Raffaele Gerbi, 56 anni, avvocato romano e fondatore di uno studio di consulenza e mediazione, accusato dalla procura di Milano di avere truffato i propri assistiti disabili in almeno 20 maxi transazioni con le assicurazioni negli ultimi tre anni, facendosi retrocedere sino al 70% dei 68,5 milioni di danni liquidati dalle compagnie. Accusa sempre respinta dagli indagati. Ma, come riporta il Corriere della Sera, a causa di un errore di 30 giorni nel calcolo della sospensione feriale dei termini processuali, il Tribunale del Riesame ha annullato il provvedimento. Questo perché sono inutilizzabili le prove raccolte successivamente alla proroga indagini che era stata chiesta e concessa fuori tempo massimo previsto per legge. Proprio il Riesame in altri sette provvedimenti, su precedenti ricorsi degli indagati, aveva confermato i “gravi indizi” di truffa, nell’ambito di una pur lecita attività di assistenza legale a vittime di macrolesioni psicofisiche.

L’errore di calcolo è avvenuto perché, ricostruisce il quotidiano, lo stop allo scorrere dei termini di durata massima delle indagini (sei mesi + sei) il periodo feriale che va dall’1 al 31 agosto è valido soltanto per i procedimenti di criminalità organizzata, mentre nell’indagine viene contestata l’associazione a delinquere semplice: dunque il mese di agosto doveva essere calcolato. L’annullamento del sequestro riguarda quattro co-indagati di Gerbi, ai quali i giudici hanno restituito 4 milioni di euro perché la consulenza medico-legale successiva alla richiesta di proroga è nulla. Anche Gerbi, al quale invece in gennaio il Tribunale del Riesame (in assenza di eccezioni sul tema) aveva confermato il sequestro, potrà farà valere quanto emerso dal Riesame.

La truffa, secondo l’ipotesi della procura a cui ora non resta chiudere le indagini e valutare la richiesta di rinvio a giudizio, sarebbe stata messa a segno sottacendo il reale funzionamento dei cosiddetti “patti di quota lite“: accordi con i quali un legale propone al cliente un obiettivo di risarcimento e si assume tutti gli oneri e spese, in cambio del poter incamerare tutta o gran parte della somma ottenuta in più nella transazione. Intercettazioni e testimonianze di otto famiglie di invalidi testimonierebbero che quando, per esempio, era prospettato a un cliente mezzo milione di risarcimento, gli era taciuto che, sulla base dei parametri con le compagnie quello reale sarebbe stato di 4 o 5 milioni.

La Cassazione lo chiama “silenzio malizioso” (era taciuto anche che Gerbi già otteneva dalle compagnie il pagamento dei suoi onorari, pari in genere al 10%) e la truffa sarebbe stata ai danni di vittime di incidenti, le quali sfruttate nella “condizione di minorata difesa per le lesioni psicofisiche gravissime” e per “l’essere sprovviste di conoscenze giuridiche“, avrebbero quindi riportato perdite patrimoniali “di straordinaria gravità per le loro vite bisognose di interventi chirurgici e assistenza perpetua”. Per gli inquirenti è una “associazione a delinquere” con procacciatori di clienti in Lazio e Campania, curatori delle pratiche, e due bancari. Dall’altro fronte i difensori del legale sottolineano che le condizioni prospettate ai clienti erano, a loro avviso, molto migliorative degli obiettivi prospettati ai clienti da precedenti avvocati e hanno sottolineato che i bonifici di retrocessione a Gerbi di parte dei risarcimenti fossero firmati dai clienti.

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