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Sequestro Silvia Romano, chiesta l’archiviazione dell’indagine anche per la mancata collaborazione del Kenya

Non è stato quindi possibile formalizzare l’accusa anche in Italia nei confronti delle tre persone attualmente sotto processo a Nairobi. La ragazza venne sequestrata il 20 novembre del 2018 e liberata nel maggio del 2020
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A poco meno di tre anni dalla sua liberazione, la procura di Roma ha chiesto l’archiviazione dell’indagine relativa al sequestro di Silvia Romano, cooperante di una onlus sequestrata per 18 mesi in Kenya. A piazzale Clodio era stato avviato un fascicolo, coordinato dall’aggiunto Sergio Colaiocco, in cui si ipotizzava il reato di sequestro di persone per finalità di terrorismo della giovane donna rientrata in Italia convertita all’Islam con il nome di Aisha. La richiesta di archiviazione è legata anche alla mancata collaborazione delle autorità keniote che non hanno mai risposto alle tre rogatorie inviate dall’Italia. Non è stato quindi possibile formalizzare l’accusa anche in Italia nei confronti delle tre persone attualmente sotto processo a Nairobi.

La cooperante era stata liberata a 30 chilometri da Mogadiscio. Un’operazione dell’Aise, l’Agenzia informazioni e sicurezza esterna scattata nella notte tra l’8 e il 9 maggio. Era ancora nelle mani di Al Shabab, gruppo terrorista somalo affiliato ad Al Qaeda. Il blitz dell’intelligence era stato condotto con la collaborazione dei servizi turchi e somali. In Somalia, infatti, Ankara allora gestiva una grande base militare dove soldati turchi addestrano militari locali. La richiesta di archiviazione riguarda anche il segmento di indagine avviato su eventuali responsabilità, sotto il profilo della sicurezza, della onlus marchigiana Africa Milele con la quale Romano era partita alla volta del Kenya. La ragazza venne sequestrata il 20 novembre del 2018 e liberata nel maggio del 2020. Durante la prigionia Silvia-Aisha aveva cambiato tre covi e dopo una lunghissima trattativa fatta di messaggi incrociati e richieste da parte dei sequestratori, i Servizi italiani insieme a quelli turchi e al “collegato” somalo erano riusciti ad avere la richiesta di una prova in vita della ragazza.

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