di Massimiliano Cannata*

In un mondo produttivo in rapida evoluzione, segnato da esigenze crescenti di tutela e dalla prepotente emersione di neodiritti, interrogarsi sulla dignità è il primo passo da compiere. Se ne è discusso al Cnel in occasione di un seminario organizzato dal centro Studi Snfia. L’evento è stata l’occasione per riflettere, con i massimi esperti del settore, sul ruolo che riveste il sindacato e i corpi sociali intermedi nell’ampio ventaglio di una profonda trasformazione tecnologica e organizzativa che tutto il mondo produttivo sta attraversando.

“La società – ha detto in apertura il Presidente del Cnel Tiziano Treu – sarebbe più povera e irriconoscibile se non ci fosse la trama articolata e complessa dell’associazionismo e dei corpi sociali intermedi che la innerva consentendo alle persone di esprimere tutta la loro potenzialità”. Per essere una “società di persone” (ed. Il Mulino), come recita il titolo di un recente saggio curato dallo stesso Treu, insieme a Franco Bassanini e Giorgio Vittadini, bisognerà dare valore alla rappresentanza, che deve impegnarsi a tradurre nella prassi la ricerca di un più equilibrato rapporto tra tempo di vita e tempo di lavoro. “Uscire da una sorta di ‘latenza’ che ingabbia l’Italia in vetuste ritualità – ha spiegato Massimiliano Valerii – vorrà dire imboccare percorsi di autentica innovazione organizzativa, rispetto a cui la parola flessibilità non deve più fare rima con precarietà, con tutte le conseguenze del caso che conosciamo. Le classi dirigenti a tutti i livelli dovremo adottare sempre più una visione di prospettiva, aperta al confronto con altri paesi, perché ambiti come il terziario avanzato possano esprimere tutte le potenzialità di cui sono capaci”. “Serviranno – l’analisi di Carmine D’Antonio del Centro Studi Snfia – nuove competenze, molte delle quali sono già apparse su un mercato dinamico come quello assicurativo. Adesso bisogna compiere un vero e proprio ‘salto di paradigma’ nella direzione di quell’umanesimo digitale che Papa Francesco ha tratteggiato con straordinaria concretezza nelle ultime encicliche sociali”.

Altro aspetto decisivo il confronto con la situazione internazionale – che è stato ben lumeggiato negli interventi di Maria Luisa Hernandez, giuslavorista dell’Università di Salamanca, Orsola Razzolini, docente di diritto del lavoro dell’Università di Milano e Cristina Tajani, presidente di Anpal Servizi – ha acceso la vivacità del dibattito. Dall’Islanda che ha fatto da apripista nel vecchio continente, passando per il Belgio, il Regno Unito e la Spagna l’adozione della settimana corta è andata molte oltre la sperimentazione. Degno di particolare interesse il caso iberico, paese in cui sole, siesta e stipendio sembrano aver trovato un’insospettabile armonia, senza contare che la riduzione ragionata delle ore di impegno, dati alla mano, ha determinato un miglioramento della qualità della performance, innalzato il meccanismo della motivazione, conferito al clima organizzativo una positività con effetti benefici evidenti sulle attività relazionali e di business.

Perché questi nuovi modelli organizzativi si possano diffondere, rispondendo anche all’appello lanciato qualche settimana fa dal segretario della Cgil Maurizio Landini, sarà però necessario un cambio di cultura che attiene alla visione dell’impresa, oltre alla messa a punto di un finalizzato sistema di incentivi. Anche su questo la Spagna si è portata avanti, mettendo in campo un programma di 50 milioni di euro per stimolare le aziende a modificare assetti, orari e regole. L’organizzazione deve insomma sapere, come ha scritto Gianfranco Dioguardi nel suo ultimo pamphlet “L”impresa enciclopedia (Ed. Guerini)”, esprimere una strategia di approccio al futuro, non accontentandosi di amministrare passivamente l’esistente. Questo si traduce in apertura rispetto alle sollecitazioni dell’ecosistema e alle esigenze di un welfare che dovrà presto mutare faccia e finalità.

Se sostenibilità e digitalizzazione sono l’essenza del cambiamento d’epoca, le nuove parole – chiavi cui il dibattuto politico ed economico guarda con sempre maggior interesse, qualsiasi tappa di trasformazione sarebbe vana se non rimettiamo al centro la persona e i suoi bisogni nell’orizzonte di un capitalismo etico tutto da costruire. Di lavoro da fare ce ne sarà ancora molto. “L’Italia purtroppo, al di là di qualche eccezione, non appare infatti per nulla pronta a compiere questo importante salto. Tocca a noi come sindacato – ha ricordato nell’intervento conclusivo Stefano Ponzoni, segretario generale Snfia – vigilare, facendo sempre meglio la nostra parte di catalizzatore del cambiamento, facilitando l’adozione di modelli organizzativi, capaci di sfruttare la potenza della tecnica senza farne un dogma, al fine di far emergere il valore della ‘libertà dentro il lavoro’ come Vittorio Foa ci ha insegnato, quale aspetto essenziale su cui si fonda il patto sociale e la civile convivenza”.

* Svolge attività di consulenza di direzione nell’ambito della comunicazione d’impresa e della ricerca applicata allo sviluppo della cultura manageriale nel contesto della complessità.

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