Non offre alcuna tutela agli 3,5 milioni di lavoratori autonomi non iscritti agli ordini professionali. E mette anche gli altri, i “tutelati”, nella situazione paradossale di rischiare una sanzione se per necessità accettano una parcella inferiore a quella ritenuta equa. Il disegno di legge sull’equo compenso, presentato durante la scorsa legislatura dall’attuale premier Giorgia Meloni e dal deputato della Lega Jacopo Morrone, è stato approvato la scorsa settimana dalla Camera all’unanimità, con 253 voti. Ma il testo, che ora passa al Senato, scontenta gran parte dei liberi professionisti e autonomi che in teoria dovrebbe valorizzare.

Il ddl prevede che i cosiddetti “contraenti forti” – ovvero pubblica amministrazione, banche, assicurazioni e imprese con più di 50 dipendenti o con un fatturato superiore a 10 milioni di euro – debbano riconoscere a liberi professionisti e a lavoratori autonomi una retribuzione che sia proporzionata alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, oltre che al contenuto e alle caratteristiche della prestazione. Per essere considerato equo, il compenso dovrà risultare coerente con i parametri fissati ogni due anni per decreto dai ministeri competenti, su proposta degli ordini professionali. Spetta poi al tribunale ordinario stabilire i casi in cui il corrispettivo non sia in linea con quanto previsto dalla normativa. Infine, agli ordini professionali viene attribuita la facoltà di adottare sanzioni deontologiche nei confronti degli iscritti che hanno accettato una parcella inferiore a quanto ritenuto “equo”.

Ed è proprio quest’ultima previsione a essere finita nel mirino di Asso, l’associazione di categoria di ingegneri e architetti, che definisce il ddl “una trappola per i professionisti”. “La legge”, riporta una nota, “risulta dannosa e sbagliata, perché colpisce con sanzioni inique i professionisti sottopagati e non i committenti inadempienti”. Senza contare che, in questo modo, secondo Asso, si introduce una discriminazione tra chi è iscritto a un ordine e chi, invece, non lo è. “Siamo arrivati a ricercare nella posizione più debole, quella del professionista, il capro espiatorio che verrà sanzionato e punito dagli Ordini, mentre le figure non ordinistiche avranno la via libera a comportarsi in modo diverso”.

Anche Colap (Coordinamento Libere Associazioni Professionali) si scaglia, per motivi opposti, contro la differenza di trattamento tra le due categorie di lavoratori autonomi. La previsione “di affidare agli ordini professionali il compito di eccepire la nullità delle clausole contrarie ai principi dell’equo compenso”, ha dichiarato la presidente di Colap, Emiliana Alessandrucci, è “un’ennesima beffa”. Questo perché la legge “non contempla la realtà delle professioni associative, spesso diversa da quella dei colleghi ordinisti”, con il rischio concreto che per 3,5 milioni di lavoratori non iscritti agli ordini professionali la norma sull’equo compenso risulti inefficace. Una posizione condivisa anche da Acta, l’associazione che riunisce in modo trasversale tutti i lavoratori autonomi. “Le nostre richieste erano che la legge riguardasse tutti i lavoratori autonomi per come li definisce lo Statuto del lavoro autonomo”, spiega a ilFattoquotidiano.it l’avvocato e membro del consiglio direttivo di Acta, Silvia Santilli. “Questa legge, invece, ha un ambito di applicazione più ristretto perché si rivolge in sostanza solo alle professioni ordinistiche: noi chiediamo una tutela universalistica”. “C’è poi il nodo di come si definisce il compenso per chi, non essendo iscritto a ordini, non ha parametri di legge o tabelle redatte dalle associazioni professionali: il diritto all’equo compenso è solo sulla carta”, aggiunge Santilli.

Più positive le reazioni di altre sigle. Mentre ProfessionItaliane “a nome di 22 Ordini e collegi professionali e di oltre due milioni di loro iscritti, esprime la propria soddisfazione per l’approvazione del testo ed auspica pari esito al termine della discussione in Senato”, l’Associazione Nazionale Commercialisti (Anc) parla di “un risultato importante e atteso”, da molto tempo caldeggiato “nell’interesse della categoria”. “Ci aspettiamo” ha dichiarato il presidente di Anc, Marco Cuchel, “che il provvedimento superi senza ostacoli l’esame del Senato”. Subito dopo, però, come già in più occasioni evidenziato, sarà necessario intervenire con delle modifiche per migliorare la norma, così da assicurarne la piena efficacia nell’applicazione”. Tra i punti che, secondo Anc, vanno modificati ci sono la parte relativa alle sanzioni (“appare paradossale” che queste ricadano “in capo al professionista”) e quella che prevede una legittimazione da parte degli ordini professionali per esercitare le azioni di classe.

A maggio il ddl era stato approvato dal Senato ma il suo iter era stato interrotto dalla fine prematura della legislatura. Durante quel passaggio era stata depennata la copertura finanziaria da 150 milioni di euro, necessaria a dare concreta attuazione alla norma, che, tra le altre cose, potrebbe determinare un incremento dei corrispettivi versati dalla pubblica amministrazione ai proprio collaboratori. Siccome la copertura non è stata reintrodotta, appare difficile che l’equo compenso, almeno in alcune situazioni, possa avere degli effetti concreti.

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