“La pratica del rooming in positiva quando la madre non è sola. Il suo bisogno di riposare sembra percepito come un lusso”

La vicenda del neonato deceduto al Pertini, sul quale la magistratura sta indagando, ha fatto emergere il dibattito sul rooming-in, che consiste nel portare il bambino appena nato nella sua culla in stanza con la madre, in modo che possa restare insieme a lei. Alessandra Bellasio, ostetrica e divulgatrice sanitaria su Unimamma.it, spiega al Fatto che questa procedura è stata “introdotta in numerosi ospedali del nostro Paese a partire dagli anni 80, sulla base del modello Unicef e Oms. Ed è una pratica che permette alla madre di restare in contatto con il suo bambino fin da subito, nella stessa stanza senza essere separati”.

Quali sono pro e contro?
È pensato per dare l’opportunità alla madre di restare vicino al bambino, favorire il bonding e l’allattamento al seno subito dopo la nascita. In più aiuta a minimizzare il pianto del bambino e favorire l’istinto di cura materno. Tuttavia, risulta una buona pratica quando alla madre si affianca una figura di supporto, il partner o un’altra persona della famiglia, che possa alternarsi nella cura del piccolo e offrire sostegno e riposo. Viceversa può diventare controproducente qualora la madre avesse necessità di riposare o riprendersi da un parto difficile o da un intervento chirurgico. In questi casi, infatti, il rooming in dovrebbe essere interrotto per garantire alla mamma gli adeguati tempi di recupero.

Perché fino agli anni 80 questa pratica non era diffusa? La madre in questo modo aveva la possibilità di riposare, cosa che oggi non è praticamente possibile.
L’alternativa al rooming in prevede che il neonato resti al nido in cura alle infermiere, alle ostetriche, alle puericultrici o al personale dedicato e che venga accompagnato dalla madre ogni 3 ore circa per essere nutrito. Questa pratica non si concilia con le più recenti acquisizioni scientifiche in materia di allattamento, che dimostrano come la vicinanza, le cure prossimali e l’allattamento a richiesta siano fondamentali per l’instaurarsi di un’adeguata produzione di latte. In quegli anni, invece, non erano ancora pienamente capiti i tanti aspetti relativi alla cura e al legame tra madre e neonato, soprattutto in riferimento all’allattamento al seno, che veniva erroneamente scoraggiato a vantaggio dell’utilizzo della formula artificiale.

In teoria è una pratica volontaria ma secondo molte testimonianze che stanno comparendo online dopo il caso del Pertini, non viene offerta alcuna alternativa. È spesso così negli ospedali?
Il consenso informato sarebbe la condizione ideale così da lasciare alla mamma la possibilità di scegliere consapevolmente in base al proprio stato psicofisico.

Sembra che il diritto della madre a riposare in ospedale non venga considerato.
Sì, in generale, e non soltanto in ospedale. Sembra che la stanchezza della madre e il suo bisogno di riposo non vengano riconosciuti come necessità reali ma come un lusso di cui si perde il diritto nel passaggio da donna a mamma.

Cosa fare per supportare una madre?
Innanzitutto è fondamentale comprendere e ascoltarla. Supportare significa anticipare i suoi bisogni e offrirle aiuto concreto. Soprattutto quando c’è necessità di riposare. Spesso le mamme mettono da parte i loro bisogni per soddisfare quelli del bambino e, se non c’è una forte rete di supporto, nel lungo termine può diventare davvero difficile.

A cosa può portare l’eccessiva stanchezza della mamma?
L’eccessiva stanchezza può essere molto pericolosa. Ci si può addormentare in posizioni non adeguate oppure avere ripercussioni sul piano fisico, emotivo e relazionale.

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