Il cellulare come una baby sitter virtuale. Per fare stare calmi i bambini, spingerli a mangiare o ad addormentarsi la notte. Le ricerche confermano questo uso diffuso da parte dei genitori per acquietare il figlioletto durante la giornata. Secondo infatti i dati che l’associazione Di.te. ha raccolto, con un’indagine condotta nel 2022 in collaborazione con la Società italiana di pediatria condivisa (Sipec), su un campione di 13.049 tra genitori, adolescenti e bambini, nella fascia tra 0 e 4 anni, il 60% dei genitori intrattiene i figli con i device e il 67% li usa anche in loro presenza. Tra i 4-9 anni, cellulari e tablet diventano sempre più compagni quotidiani, visto che l’88% del campione dichiara di intrattenere i figli con questi dispositivi e quasi tutti li usano in loro presenza (96%). Ma c’è anche chi ne consente l’uso prima di dormire (37%), oppure quando sono stanchi o agitati (30%) e, appunto, durante i pasti (41%). E durante l’adolescenza (9-14 anni) che accade? Lo smartphone diventa il fido amico della giornata dei ragazzi: il 98% non se ne priva mai, e c’è chi continua a usarli (62%) anche prima di addormentarsi. A preoccupare però è che quasi tutti (81%) si annoiano quando non li usano, il 57% preferisce rimanere connesso anziché uscire, il 77% è nervoso e scontroso quando i genitori gli impongono di disconnettersi. Ci sono alcune cose da dire su questi dati. Prima di tutto, vale la pena ricordare che, in passato, un ruolo altrettanto controverso è spettato alla televisione. Certamente le differenze con smartphone e tablet sono molte: l’esperienza è molto più pervasiva e il tempo trascorso davanti allo schermo è molto superiore. Inoltre l’esperienza è maggiormente immersiva e totalizzante”, sottolinea il dottor Valerio Rosso, medico-psichiatra e divulgatore. “Resta, a mio parere, un mistero come, in presenza di una cosí marcata preoccupazione generale, non sia stata ancora avviata una seria ricerca multicentrica. Le società scientifiche mediche e psicologiche si stanno limitando a comunicati allarmistici a cui, però, non fanno seguito dei reali ed estesi approfondimenti epidemiologici basati sul metodo scientifico”.

Non possiamo però escludere che esistano dei rischi su possibili ricadute negative a livello cognitivo ed emotivo in soggetti così piccoli e negli adolescenti.
“A mio parere, il punto più importante da considerare è il cosiddetto Disturbo da Diffusione Patologica dell’Attenzione, ovvero il fenomeno per cui la capacità di attenzione dei bambini viene dispersa su molteplici stimoli di attrazione (app, giochi, video) facendo sì che non si abbia la possibilità di soffermarsi sulle cose e di approfondire”.

Gli adolescenti in particolare appaiono iperconnessi, sembra non riescano a fare niente senza dover guardare in continuazione il cellulare. L’attenzione in questo modo si riduce notevolmente, anche con ripercussioni negative nei processi di apprendimento, soprattutto a scuola?
“Lo smartphone e i servizi che veicola stanno diventando a tutti gli effetti un’appendice della nostra mente a cui deleghiamo molte funzioni. Questo fenomeno, se ben modulato e consapevolmente gestito, potrebbe anche avere dei vantaggi. Però una completa delega della funzione legata alla memoria e, nuovamente, la dispersione dell’attenzione su molteplici attrattori possono provocare in generale dei danni cognitivi. A oggi siamo ancora in una fase adolescenziale e immatura rispetto alla gestione delle tecnologie digitali. La sfida sarà quella di vedere se riusciremo a raggiungere una ‘maturità digitale’ prima di venirne sopraffatti. Senza contare che abbiamo all’orizzonte le possibilità offerte da tecnologie come le chatGPT (dispositivi di intelligenza artificiale con cui si può dialogare, ndr) a cui potremo delegare non solo la memoria e l’attenzione ma, addirittura, le nostre competenze narrative”.

Anche l’esercizio della memoria sembra venire meno, grazie alla possibilità di richiamare con i dispositivi mobili dati e informazioni di ogni tipo…
“Sono in molti, tra gli utenti più giovani, a giudicare inutile la capacità di ricordare informazioni. In realtà le nostre competenze creative dipendono in gran parte dalla presenza di ‘contenuti’ residenti nel nostro cervello che sono gli unici a cui possiamo avere accesso immediato e che forniscono il materiale per il processo di generazione di nuovi contenuti. Esercitare la memoria non è un’attività fine a se stessa ma rappresenta il fondamento della nostra capacità di creare”.

Tra le competenze che possono venire meno o inibite c’è anche il senso di orientamento che viene sostituito dai navigatori che indicano ogni percorso disponibile?
“La possibilità di essere aiutati nell’esplorazione del territorio è tutt’altro che inutile e ci permette di risparmiare tempo ed energia. Ma le cose si stanno complicando anche in questo caso dato che i navigatori e le mappe, agli occhi di molti utenti, stanno diventando il ‘Mondo’ che vogliono descrivere. Il punto è che, sempre più frequentemente, si sta sostituendo il territorio con la rappresentazione del territorio… E non solo con le rappresentazioni satellitari, ma anche con i nuovi dispositivi di realtà virtuale e aumentata. Io credo che si stia compiendo nuovamente un’aberrazione cognitiva e, lo ripeto, la rappresentazione del territorio, per quanto raffinata e completa, non è il territorio”.

Alla fine, anche se come lei giustamente sottolineava, mancano ricerche che evidenzino dati più oggettivi su questi fenomeni, le sue considerazioni confermano diverse preoccupazioni emerse dalla ricerca. C’è ancora un ultimo elemento da segnalare: l’onnipresenza di questi dispositivi nella vita quotidiana può incrementare anche l’aggressività nei bambini e nei ragazzi?
“Qualsiasi attività che viene condotta con modalità compulsive, obbligate che sfociano nella dipendenza predispongono alla risposta aggressiva. Se avete provato a limitare o a controllare l’utilizzo di un dispositivo elettronico di un bambino o di un adolescente avrete immediatamente la risposta a questa domanda”.

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