Sta suscitando un acceso dibattito, e qualche preoccupazione, lo studio rilasciato il 23 dicembre da alcuni ricercatori cinesi. Gli autori del paper affermano di aver raggiunto la capacità di “rompere” le più diffuse crittografie, grazie all’utilizzo di computer quantistici. Tra queste ci sono anche i complessi algoritmi su cui si reggono le criptovalute, bitcoin in testa. I ricercatori annunciano di essere in grado di farlo ma non di non averlo ancora fatto. Ci si interroga dunque su quanto sia fondata questa ipotesi. I computer quantistici hanno tra le loro caratteristiche una velocità molto maggiore rispetto a quelli tradizionali nell’eseguire calcoli, questo li rende potenzialmente in grado di “forzare” dati crittografati rapidamente, ponendo rischi per la sicurezza dei sistemi attualmente in uso. Una minaccia teorica nota da tempo ma che lo studio cinese sembra rendere più concreta. I computer quantistici sono ancora in una fase embrionale di sviluppo e al momento non si può affermare una conclamata superiorità rispetto ai computer tradizionali. Il computer più avanzato di cui si ha notizia è stato sinora sviluppato da Ibm che ha realizzato un chip da 433 qubit, le unità di base del computer quantistico che lo renderebbe in grado di surclassare le prestazione di apparecchi tradizionali. Tuttavia si sa ancora poco sulle reali prestazioni di questa macchina e sulla sua effettiva precisione visto che il controllo degli errori è una delle grandi sfide di questa tecnologia.

Lo studio cinese mostra però come i rischi per la sicurezza abbiano raggiunto già ora un livello di possibile allerta, con strumentazioni già potenzialmente disponibili. Le prime valutazione degli esperti definiscono “solido” il contenuto del paper. Intervistato dal Financial Times Roger Grimes, esperto di sicurezza informatica spiega che l’annuncio cinese è di grandissima portata. Tra le altre cose potrebbe significare che utilizzando questi metodi un governo potrebbe facilmente impossessarsi di files protetti di paesi nemici (e non solo). Altri esperti mettono però in luce come lo studio sia carente nel quantificare il tempo che servirebbe per rompere la crittografia adoperando le tecnologie esistenti. Potrebbe trattarsi di anni o secoli. Lo studio cinese prende le mosse da una pubblicazione dello scorso anno ad opera del matematico tedesco Claus-Peter Schnorr in cui è contenuto un algoritmo potenzialmente in grado di bucare i sistemi di sicurezza. Alcuni dei calcoli necessari vengono però traslati su sistemi quantistici, rendendone, in teoria, più veloce l’esecuzione. Indipendentemente dalla effettiva possibilità di gli esperti mettono in luce come lo studio cinese indichi una strada e questo potrebbe attrarre investimenti crescenti per renderla effettivamente percorribile. La posta in gioco è alta, su questo tutti concordano.

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