Oggi è lunedì e come ogni lunedì è una giornata infernale, di quelle che non vedi l’ora di chiudere l’ambulatorio e correre a casa. Come ogni lunedì c’è un iperafflusso di pazienti, quasi a farti pagare il riposo del fine settimana. Per oggi abbiamo finito. “O quasi”, penso mentre squilla il telefono. “Dottoressa, nonna Adelaide è caduta e non vuole andare in ospedale, ha battuto la testa”.

“Mi mandi le foto della ferita e me la passi al telefono”. È una ferita frontale profonda ma che non sanguina più, e lei, Adelaide, mi dice che sta bene, non ha mal di testa e non vuole andare in ospedale, non ce n’è bisogno. Lì i vecchi muoiono, mi ripete. E come fai a contraddire una nonnina di 87 anni spaventata dalle lunghe file e dal dover passare magari ore in barella. “D’accordo, le dico, finito studio adesso, passo subito”. E pazienza se tornerò a casa un po’ più tardi.

Arrivo a domicilio suturo la ferita, rilevo i parametri che sono normali, faccio l’esame neurologico che risulta essere negativo. Chiacchieriamo un po’ e le dico che i controlli li deve comunque fare. Mentre parla perde conoscenza, così all’improvviso. Chiamo il 118 e do codice rosso. Mentre prima la chiamata era diretta, adesso passa attraverso il 112 e i tempi di presa in carico telefonica si allungano. Mi passano finalmente l’operatore di sala con cui litigo sul colore del codice. Giallo verde, arancione, azzurro. Diventerà nero tra un po’. Finalmente si convince. Allerta l’ambulanza, che non ha medico a bordo, come tutte le ambulanze nel Lazio, e l’automedica che deve arrivare dal capo opposto della città.

Passano 45 minuti, troppi per un codice rosso, 45 minuti in cui non posso fare altro che monitorare i parametri e tenere la paziente girata su un fianco per impedire che possa soffocare. Finalmente arrivano due soccorritori volontari, un medico e un’infermiera. Cercano di rianimarla e portarla giù per le scale; mi carico gli zaini che pesano un quintale per dare una mano. “Ma non dovevate essere almeno in 3 sull’ambulanza?”, “Eh sì, ma ci sono stati tagli al personale”. Arrivano giù all’ingresso dopo un tempo infinito, con la barella che quasi casca. Sono allo stremo delle forze, non ce la fanno in tre.

È la stessa solfa dappertutto. Quest’estate mi è capitato di soccorrere in Calabria un altro anziano per trauma cranico conseguente ad una caduta accidentale; ho chiamato il 118 che mi ha risposto che l’ambulanza più vicina era almeno a due ore di distanza, troppe. Ho convinto i familiari a caricare il paziente in macchina e portarlo in Basilicata all’ospedale più vicino. Fortunatamente Angiolino ce l’ha fatta, nonostante la trasferta in un altra regione a qualche ora di distanza. Nonna Adelaide invece no. Quando è arrivata in ospedale è deceduta dopo un po’ per un’emorragia cerebrale massiva. Forse se l’ambulanza fosse arrivata nei tempi giusti le cose sarebbero andate nello stesso modo o, considerata l’età, forse no.

Siamo di fronte ad una destrutturazione senza precedenti del Servizio sanitario pubblico, ed il malfunzionamento del servizio di emergenza urgenza è la spia che ci dice che siamo sulla strada del non ritorno.

Tocca fare i conti con una carenza atavica di mezzi e di personale, a cui non si pone rimedio.

Il depauperamento degli organici di pronto soccorso e di quello delle ambulanze viaggia velocissimo: duemila medici solo nell’ultimo anno. Questi numeri ci dicono che ogni due professionisti che abbandonano troviamo una sostituzione solo per uno di essi e quelli che rimangono sostengono un carico lavorativo, sia fisico che psicologico, che non ha eguali, in mancanza di tutele e stipendi adeguati.

Medici, infermieri e pazienti pagano il prezzo delle medesime carenze, tra attese infinite per un posto letto, strutture inadeguate e le difficoltà legate a personale numericamente insufficiente e questo è frutto di anni di sottofinanziamento al sistema sanitario pubblico, sottofinanziamento deliberato consapevolmente sia da governi di destra che da quelli di sinistra.

Abbiamo perso la capacità di indignarci. Abbiamo perso la capacità di lottare per i diritti sociali, quali il diritto alla salute, all’istruzione, al lavoro.

Ma ricordiamoci che ognuno di noi potrebbe avere a casa una nonna Adelaide che ha diritto ad un’assistenza adeguata. A prescindere dall’età e dalle possibilità economiche. Tutti potremmo essere nonna Adelaide.

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