di Federica Pistono*

Liana Badr è una scrittrice, poetessa e regista palestinese, la cui vita somiglia a quella di tanti esuli palestinesi della sua generazione, segnata dalla perdita della patria e accompagnata ovunque dalla nostalgia e dal senso di spaesamento. Nata nel 1950 a Gerusalemme, è cresciuta a Gerico, città che ha dovuto abbandonare nel 1967 per trasferirsi in Giordania. Dopo gli eventi del cosiddetto ‘settembre nero’ del ’70, si è rifugiata a Beirut, teatro, dal 1975 al 1990, della guerra civile libanese. Uno dei momenti più cruenti del conflitto è rappresentato dalla strage del campo profughi palestinese di Tal al-Za̔ tar del 1976, un episodio destinato a essere rievocato nel romanzo L’occhio dello specchio. Con gli accordi di Oslo del 1993, riesce finalmente a tornare in Palestina e a stabilirsi a Ramallah, città nella quale vive tuttora.

Il suo primo romanzo tradotto in italiano s’intitola Le stelle di Gerico (Edizioni Lavoro, 2010, trad. G. Della Gala e P. Viviani), un’opera, in parte autobiografica, la cui protagonista ripercorre la propria infanzia e giovinezza. L’autrice ci accompagna lungo un percorso articolato in dieci capitoli, ognuno dei quali si collega a un elemento naturale: legno e gelsomino, rame, lapislazzuli, turchese, oro bianco, cristallo, rubino, piombo, oro nero e perla bianca. Il personaggio femminile, dietro il quale si cela la scrittrice, rievoca le memorie di un passato perduto, esprime i rimpianti e il desiderio struggente di un ritorno, pur nella consapevolezza dell’impossibilità di concretizzare la sua aspirazione. I ricordi personali, raccontati attraverso il flusso di coscienza, si mescolano ai fatti storici, spesso drammatici.

Con una scrittura intensa e minuziosa, ricca di dettagli su luoghi, oggetti e odori, Liana Badr ci guida all’interno della vita quotidiana palestinese, al punto che al lettore sembra quasi di percepire l’aroma di cibi preparati con spezie profumate, in base ad antiche ricette. Il romanzo è dunque un viaggio introspettivo, una rivisitazione di luoghi del cuore attraverso la memoria, narrato da un’ottica assolutamente femminile.

Il secondo romanzo dell’autrice tradotto in italiano è fresco di stampa: si tratta del già citato L’occhio dello specchio (MR Editori, 2022, trad. A. D’Esposito). L’opera può definirsi un romanzo-reportage, perché la scrittrice, prima di dedicarsi alla stesura del testo, ha speso sette anni nella raccolta di materiale sui fatti di Tal al-Za̔ tar (“Collina del timo”). L’azione si colloca nel 1976, quando, in un clima di strisciante guerra civile, quattro libanesi maroniti vengono uccisi in un agguato; la risposta dei miliziani cristiani non si fa attendere e un autobus, carico di fida`íyyin palestinesi, viene attaccato, con l’uccisione di tutti i passeggeri. Il campo è quindi posto, per circa due mesi, sotto un durissimo assedio, che si conclude con la resa e il massacro di centinaia e centinaia di civili, tra i quali molte donne e bambini.

Grazie alle interviste ai sopravvissuti, l’autrice compie la ricostruzione minuziosa dei giorni dell’assedio, scrivendo una storia epica e corale, un romanzo-cronaca che, da un lato, si pone come narrazione del quotidiano, dall’altro come contro-narrazione di una guerra.

Protagonista della storia è Aisha, una ragazza palestinese che coltiva un amore non corrisposto per uno dei giovani che frequentano la sua casa paterna. Costretta a un matrimonio combinato, rimane ben presto vedova e deve affrontare la maternità. La vicenda personale di Aisha è l’espediente narrativo che permette alla scrittrice-giornalista di dipingere un ritratto nitido della vita del campo e della comunità delle donne che, con il progressivo inasprimento delle condizioni di vita, diventano la spina dorsale della resistenza all’assedio. Le storie dei personaggi femminili sovvertono e ribaltano l’immagine della donna come soggetto inerte e passivo, in perenne attesa del ritorno dell’uomo dalle azioni belliche.

In assenza degli uomini, le donne si assumono il compito di gestire lo spazio comune del campo. Ognuna è incaricata di una particolare mansione: c’è chi procura l’acqua, chi offre assistenza ai feriti, chi comunica con il mondo esterno, chi provvede a sfamare gli assediati. L’autrice focalizza l’attenzione sulla condizione femminile in tempo di guerra, sulla contraddizione tra l’assolvimento di compiti maschili da parte delle donne e la loro apparente adesione al ruolo tradizionale nella società araba e palestinese.

Un romanzo, dunque, in cui l’autrice fonde una vocazione narrativa dirompente con un’istanza strettamente documentaristica. L’assedio e il massacro di Tal al-za̔ tar costituiscono non solo un episodio sanguinoso della guerra civile libanese, ma funzionano come un frammento di specchio: la realtà che vi si riverbera è frammentaria, intessuta di racconti, immagini, voci e oggetti, come il bricco del tè e la stufa intorno alla quale le superstiti e la giornalista si sono forse riunite.

*dottore di ricerca in Letteratura araba, traduttrice, arabista, docente, si occupa di narrativa araba contemporanea e di traduzione in italiano di letteratura araba

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