“Per mia natura non amo molto i lobbisti e quindi non li ho mai ricevuti. Li unici che ricevo sono i difensori dei diritti umani, che premono come è giusto che debbano fare per difendere la situazione dei diritti umani che è compromessa in molti Paesi”. E la pressione del Marocco per fare approvare gli accordi commerciali con l’Unione Europea? “Non so se ci sia stata, ma se c’è stata io non l’ho subita proprio perché i lobbisti io non li ho mai incontrati”. È il 2017 quando a Bruxelles Pier Antonio Panzeri rilascia questa intervista. L’allora europarlamentare del Pd accetta di parlare con gli autori di “Inside the agreement”, una videoinchiesta – arrivata in finale al premio Dig – sugli effetti devastanti del trattato tra l’Unione Europea e il Marocco sull’agricoltura del sud Europa. Effetti che non sembrano preoccupare Panzeri, decisamente più interessato a contenere i flussi migratori dal nord Africa che a tutelare gli interessi dei nostri piccoli agricoltori. D’altronde, “delle due l’una. O permettiamo alle arance e all’olio nordafricano di penetrare nel mercato europeo o ci becchiamo i marocchini e i tunisini”, sostiene l’ex numero uno della Camera del Lavoro di Milano. Che sui lobbisti dice: “E’ una categoria che esiste, non è che la disprezzo, ma preferisco farmi un’opinione guardando la realtà per quella che è e non perché è condizionata da chi, anche in buona fede, pensa di vendere le proprie idee”.

Durante il lavoro alla stessa inchiesta, però, molti altri parlamentari europei hanno rilasciato interviste per confermare la massiccia presenza di lobbisti marocchini nei giorni che hanno preceduto l’approvazione del trattato, avvenuta nel 2012. Panzeri invece dice di non aver subito queste pressioni. Eppure era proprio lui uno degli uomini su cui contavano i marocchini per influenzare le scelte dell’Europarlamento. A sostenerlo sono gli investigatori della procura federale di Bruxelles, visto che Panzeri è l’uomo al centro dell’inchiesta sulle mazzette che sarebbero state pagate da Rabat, ma pure dal Qatar, nel cuore delle istituzioni comunitarie. Secondo la relazione del Vsse, il servizio segreto del Belgio che ha dato inizio all’inchiesta, l’attività d’ingerenza del politico italiano in favore del Marocco va avanti almeno dal 2014, mentre le operazioni a favore di Doha cominciano nel 2018. “L’origine di tutto, fondamentalmente, è stata dopo il 2019 e l’accordo prevedeva che avremmo lavorato per evitare delle risoluzioni contro i Paesi e in cambio avremmo ricevuto 50mila euro, questo accordo è stato passato al Marocco e in un certo senso ha continuato, ed è stato continuato tramite l’ambasciatore attuale che è a Varsavia Atmun Abderrahim”, ha messo a verbale Panzeri davanti al giudice istruttore Michel Claise.

Il legame dell’ex europarlamentare italiano col Marocco, però, parte molto prima. A svelarlo sono i Maroc-Leaks: sono centinaia di cablogrammi classificati riversati in rete a partire dal 2015 che svelano le manovre di lobbying portate avanti in tutto il mondo da Rabat. In quelle carte si trova anche una missiva dell’inviato marocchino a Strasburgo risalente a quasi dieci anni prima dell’inchiesta della Procura del Belgio. Nel 2012 gli emissari del Regno nordafricano e Antonio Panzeri si muovono per arrivare all’approvazione di una risoluzione, votata il 16 febbraio 2012, che approderà all’accordo bilaterale tra Ue e Marocco sulle liberalizzazioni dei prodotti agricoli e ittici. Un’intesa che infuriare i produttori agricoli europei, in particolar modo quelli italiani e spagnoli, penalizzati da quell’accordo che limitai dazi sui prodotti di Rabat e immettendo sul mercato europeo merci a basso costo.

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