La proposta di calibrare le multe in base al reddito è una buona idea, ma è non semplice da realizzare. Potrebbe essere l’inizio di una revisione complessiva delle regole della strada, pensate per un sistema profondamente diverso da quello attuale.

di Emiliano Mandrone (fonte: lavoce.info)

Gli italiani sono favorevoli a far pagare sanzioni e tributi in base alla ricchezza?

Il viceministro delle Infrastrutture e trasporti Galeazzo Bignami, durante la presentazione del Rapporto Dekra sulla sicurezza stradale, ha prefigurato un cambiamento nel sistema sanzionatorio del codice della strada, sostenendo di voler introdurre una proporzionalità tra le sanzioni e il reddito, affinché la funzione deterrente della multa sia commisurata alla ricchezza di chi compie l’infrazione. Non è una novità, è una strategia già utilizzata da anni per esempio in Germania, Svezia, Francia, Svizzera, Gran Bretagna, con sistemi diversi di regolazione della intensità della sanzione, ma tutti ispirati al principio che deve essere proporzionale alla ricchezza di chi compie l’infrazione per avere una funzione disincentivante equa ed efficace.

Nel 2017 avevo presentato l’articolo il ruolo sociale dell’educazione economica in cui si analizzavano economic literacy e alcuni dilemmi sociali. Tra le varie domande c’era anche questa: la sanzione o la tariffa di un servizio pubblico dev’essere fissa (uguale per tutti) o proporzionale (in base al reddito)? Sebbene il quesito fosse duplice – si riferiva sia alle tipiche contravvenzioni che alle tariffe dei servizi pubblici– dalle risposte (figura 1) emergeva un ampio favore per l’opzione “proporzionale”, pari all’80 per cento dei rispondenti dell’Indagine Plus, senza particolari differenze in merito al genere, età, area geografica, istruzione, impiego e retribuzione (in quintili) e reddito mensile familiare disponibile.

Il principio e le difficoltà di applicazione

Premesso il grande consenso nella popolazione rispetto a un provvedimento che introduce una ponderazione economica tra contribuenti differenti, ovvero che segue un principio di equità e progressività, è bene fare alcune considerazioni sulle difficoltà di applicazione che potrebbe incontrare.

La prima questione è la definizione delle sanzioni: soglie predefinite o una percentuale della retribuzione. In Gran Bretagna la sanzione è una quota della retribuzione, ad esempio il 10 per cento. Pertanto, più è alta la retribuzione più cresce l’ammontare della multa. In altri paesi è più che proporzionale, ovvero al crescere del reddito cresce l’aliquota (10 per cento fino a 1.000 euro, 15 per cento tra 1.000 e 2.000, 20 per cento tra 2.000 e 5.000 e così via). In altri casi sono previste soglie: 100 euro per chi guadagna meno di 1.000 euro al mese, 200 per chi guadagna da 1.000 a 2.000 euro al mese, e così via. Magari con una soglia finale molto severa.

Ma come si fa per lo studente che guida l’auto della madre o la casalinga che guida quella del marito o nel caso di auto aziendali o in leasing o a noleggio o con conducente straniero?

Si potrebbe percorrere la via di sanzionare in base al valore del mezzo, ad esempio secondo i parametri che le assicurazioni usano per quotare il rischio furto. Anche in questo caso, si creano zone d’ombra quando il valore d’uso e il valore di mercato divergono significativamente. Ad esempio, si potrebbe avere una vecchia auto sportiva con prestazioni elevate da poche migliaia di euro e l’ultimo modello di utilitaria, ecologica e sicura, che invece costerebbe molto di più, paradossalmente anche in termini di sanzioni.

Esistono una serie di questioni addentellate che attengono alla natura dell’infrazione: eccesso di velocità o sosta vietata o accesso contromano meritano penalità diverse, quindi il peso del disincentivo dev’essere legato al disagio o rischio sociale procurato. C’è anche una proporzionalità tra valore del mezzo e sue prestazioni, ovvero una fuoriserie a 100km/h si ferma in meno metri di una utilitaria, ma allora dovremmo considerare la sua pericolosità intrinseca, quindi fare una ponderazione multipla: in base al tipo di infrazione, alla massa, alle prestazioni o alla buona manutenzione del mezzo, alla pericolosità sociale e così via.

La sfida di governare un sistema articolato

Se la premessa è che il sistema attuale è il più ingiusto e inefficiente, la proposta è una buona idea, non banale da realizzare, forse l’inizio di una revisione complessiva delle regole della strada, pensate per un sistema i cui attori sono profondamente mutati nel tempo. Anche in questo ambito, serve un nuovo insieme valoriale, un sistema di incentivi e disincentivi diverso, legati alle possibilità offerte dalla tecnologia e alle mutate sensibilità, che incorpori anche il contesto (sanzioni prese su strade mal tenute o in aree congestionate potrebbero essere poco comprensibili e dar luogo a un ampio contenzioso) e magari che tenga conto della storia di guida (una sorta di sanzione bonus-malus, per cui chi prende ripetutamente sanzioni della stessa natura viene più penalizzato). È uno dei tanti aggiornamenti culturali e normativi indotti dalle varie transizioni tecnologiche in corso.

L’iniziativa è lodevole ma le complicazioni abbondano, come ogni qual volta il regolatore pubblico vuol mettere mano a comportamenti socialmente indesiderabili.

Se poi riprendiamo la seconda parte del quesito, che faceva riferimento alle tariffe pubbliche, va rimarcata la spiccata propensione degli italiani a una imposizione diretta e progressiva, che invece è quanto mai indigesta alla politica degli ultimi anni: temendo la perdita di consenso delle categorie penalizzate, i nostri governanti hanno sovente preferito l’imposizione indiretta.

Tutto ciò, ancora una volta, rafforza l’esigenza di una corretta misura da parte dello stato della ricchezza dei contribuenti per poter disegnare in maniera più equa e precisa premialità e penalità, politiche e i servizi pubblici. Prediche inutili.

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