Lavori dignitosi ci sono e si trovano. Si immagina un mondo perfetto, dove tutti trovano il lavoro dei loro sogni. Ma se ti rifiuti di lavorare con un lavoro dignitoso, e con tutte le garanzie del caso, perché quello non è il lavoro dei tuoi sogni, non puoi aspettare che lo Stato ti paghi il Reddito di cittadinanza con i soldi di chi paga le tasse magari senza fare il lavoro dei suoi sogni. È una questione di giustizia“. Così, ospite di Porta a porta (la puntata registrata andrà in onda giovedì sera su Rai 1) la premier Giorgia Meloni commenta l’ennesima stretta al Reddito di cittadinanza inserita in manovra, con l’emendamento che abolisce il requisito della “congruità” dell’offerta di lavoro che, se rifiutata, fa perdere il sussidio. Costringendo così (almeno in teoria, perché in pratica le offerte arrivano assai di rado) un laureato ad accettare un lavoro da manovale dall’altra parte d’Italia. “Io immagino un meccanismo in cui, in un Paese in cui alcuni lavori si trovano e sono dignitosi, tu vai al centro per l’impiego che ti indica gli ambiti in cui è richiesto lavoro e ti dice chi ti forma. Ma ci vuole anche la volontà”, dice. E specifica: “Intendo lavori non sottopagati o sfruttati, ma anche lavori che non sono quelli per cui si è studiato ma che ti fanno vivere in perfetta dignità, e magari senza accettare di lavorare in nero, che non credo aiuti nessuno”.

Nel salotto di Bruno Vespa la leader di FdI fa un bilancio dei primi mesi di governo. E, manco a dirlo, si autopromuove: “L’Italia non è più l’eterna Cenerentola, se non per percezione di se stessa. Sto girando il mondo, non avevo idea di quanta voglia di Italia ci sia nel mondo”, dice la premier. “Quello che ci è mancato è stato l’ottimismo, un po’ di sano orgoglio“. Per la fine della legislatura, dice, “mi aspetto un’Italia ottimista, un’Italia che si fidi delle sue istituzioni. Pensi che abbiamo mille problemi, poi guardi i dati dell’economia e ti accorgi che nell’ultimo trimestre siamo cresciuti di più di tedeschi, francesi, spagnoli”, rivendica. Gli italiani, afferma, “non si aspettano che tu faccia dei miracoli, sanno che la situazione è difficile e che può cambiare da un momento all’altro. Si aspettano che quello che fai non sia per tornaconto personale ma per fare quello che è giusto. Io voglio fare quello che è giusto, nell’interesse della nazione”.

Meloni torna sul tema dei pagamenti elettronici, dopo lo stralcio dalla manovra (per evitare frizioni con l’Ue) della norma che avrebbe consentito agli esercenti di rifiutarli sotto la soglia dei sessanta euro. “Sono certa del fatto che non sia giusto imporre agli esercenti, che devono caricarsi il costo di commissioni bancari, di accettare pagamenti per importi molto molto bassi. Chi vuole pagare il caffè col bancomat lo pagherebbe lo stesso se il costo delle commissioni fosse caricato sul caffè”, dice. La norma sul Pos che alla fine è entrata nella legge di bilancio, spiega, “prevede una moral suasion perché gli attori si mettano d’accordo per azzerare le commissioni sotto un importo ragionevole, basso, perché non posso imporlo per legge, essendo la moneta elettronica privata”. Sull’accoglienza dei migranti (su cui a novembre si è sfiorata la crisi diplomatica con la Francia) Meloni dice: “La soluzione non credo sia la redistribuzione, ma fermare le partenze. Quelli che accogliamo noi sono banalmente quelli che hanno i soldi da dare agli scafisti, gli altri no. Io non credo che sia un modo intelligente di gestire il problema dei profughi e dei migranti”.

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