Dopo l’ultima sentenza del processo sulla Trattativa Stato-mafia è calato il silenzio su una delle vicende più drammatiche e clamo­rose della storia repubblicana. E non pochi sono stati quelli che hanno violentemente attaccato i magistrati che avevano istruito il procedimento, tra i quali Nino Di Matteo, autore del libro Il Patto sporco e il silenzio, insieme al giornalista Saverio Lodato, ora riproposto in una nuova edizione aggiornata dall’editore Chiarelettere. Il saggio rappresenta la let­tura più completa di una vicenda che molti vorrebbero fosse rimossa dalla cronaca e dal­la storia del nostro paese: gli attentati a Lima, Falcone, Borsellino, le bombe a Milano, Firenze, Roma, lo Stato in ginocchio, i suoi uomini migliori sacrifica­ti. Il Patto sporco e il silenzio sarà presentato a Roma, sabato 17 dicembre alle ore 18, alle Industrie fluviali di via del porto fluviale, 53. Insieme agli autori interverrà Andrea Purgatori e l’incontro sarà moderato dalla giornalista Silvia Resta. Letture di brani del libro saranno affidate agli attori Lunetta Savino e Thomas Trabacchi. Pubblichiamo qui di seguito il capitolo conclusivo del saggio.

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Le sentenze, dice un vecchio adagio, non si commentano, ma non è proibito paragonarle fra loro. Ci avvarremo di questa facoltà.

La sentenza di primo grado – Corte d’assise di Palermo presieduta da Alfredo Montalto, giudice a latere Stefania Brambille, – con le dure condanne inflitte per la Trattativa Stato-mafia ai carabinieri del Ros, Mori, Subranni, De Donno, si ispirava a un’altra era geologica della storia d’Italia.

Quando la lotta alla mafia faceva in qualche modo capolino nelle agende politiche di governo (anche se come belletto che i diretti interessati erano pronti a ignorare alla prima occasione); quando i famigliari degli uccisi parlavano la stessa lingua, pretendendo dai giudici, innanzitutto, e anche dalle istituzioni, verità e giustizia; quando le latitanze decennali dei capimafia sollevavano ancora scandali, indignazione e sconcerto; quando si riteneva che Cosa Nostra fosse un nemico da combattere e ridurre all’impotenza.

I dinosauri più giganteschi di quell’era geologica si chiamavano Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. I quali, infatti, erano talmente convinti del principio della belligeranza permanente dello Stato con tutte le mafie, che andarono incontro alla morte senza tentennamenti.

Un’altra era geologica, appunto.

La sentenza di secondo grado – Corte d’assise d’appello presieduta da Angelo Pellino, giudice a latere Vittorio Anania, – che manda assolti tutti i carabinieri, non rinunciando però a rifilare ai mafiosi il calcio dell’asino che non si nega mai a nessuno, è invece sentenza tagliata su misura per i tempi moderni. Che con quelli dell’era geologica non hanno più niente a che spartire.

È sentenza che canta la bellezza del Nuovo Mondo.

Il mondo in cui tutto è mescolato, dove il grigio diventa il colore socialmente più apprezzato, dove viene bandita per sempre la necessità di inutili eroi, visto e considerato che la mafia, a differenza di tutte le cose della vita (contrariamente a quanto predicava Falcone), non avrà mai una sua fine.

Il paragone fra le due sentenze può bastare.

Ma entriamo nel merito della seconda, quella di oggi, che fa discutere. Beninteso, una manciata di addetti ai lavori.

Porre le basi per la costruzione di un Nuovo Mondo è sempre impresa complicata. Solo Mosè se la cavò in quaranta giorni e quaranta notti sul monte Sinai – ma aveva Dio, come giudice a latere –, per scrivere le nuove tavole della legge. In questo caso, invece, è trascorso quasi un anno da quel dispositivo che mandò i carabinieri tutti assolti. Perché tanto tempo? Cosa hanno scritto i giudici?

Che la Trattativa ci fu. Che Totò Riina ne fu dominus e partecipe. Che Mori e De Donno cercarono Vito Ciancimino per interloquire proprio con Riina dopo la strage di Capaci. Che i due carabinieri coltivavano in solitudine l’ambizioso progetto di salvare l’Italia da altre stragi. Che non obbedirono agli ordini di nessun uomo politico, meno che mai esponente delle istituzioni. Che non fecero quello che fecero per favorire la mafia. Dunque, assolti.

Ma la sentenza, che pone le fondamenta del Nuovo Mondo, si spinge ancora più in là. Con molta audacia, oseremmo dire. Quando mette nero su bianco che Mori non ordinò la perquisizione del covo di Riina in via Bernini per lanciare un segnale di pace con Bernardo Provenzano che in quel momento era latitante. Quando mette nero su bianco che Mori rallentò, per quanto in suo potere, la cattura sia di Provenzano, sia di Nitto Santapaola. Troppa grazia, persino per lo stesso Mori che negli anni passati si era ritrovato assolto in quasi una mezza dozzina di processi sugli stessi argomenti. Mori, quasi per pudore, aveva negato tutti gli addebiti. Ma la Corte oggi sembra certificare che è sempre meglio dire la verità… Tanto si finisce comunque assolti.

Va aggiunto che la Corte d’assise d’appello, in riferimento a quegli episodi, tratta, con parole dure, Mori e De Donno come due ragazzacci che hanno strafatto.

Storie vecchie, certo. Tutte prescritte. Ma sono tasselli utili – lo ripetiamo – alla costruzione del Nuovo Mondo. Tempi in cui tutti potranno finalmente dire: la Trattativa ci fu, e allora? Certo che si trattò e si tratta con la mafia, ma per il bene degli italiani e dell’Italia. Niente di più e niente di meno.

Non meravigliatevi, allora, se in queste motivazioni della sentenza non troverete alcun riferimento all’agenda rossa e al pentito Scarantino, nella strage di via D’Amelio. Ogni cosa a suo tempo. Il Nuovo Mondo si costruisce un pezzo alla volta. Ci sono altri processi aperti. Meglio evitare inutili invasioni di campo. Però, una considerazione finale, da vecchi opinionisti che si formarono nell’era giurassica, lasciatecela passare.

Che potenza investigativa hanno dimostrato questi Mori e De Donno, capaci di indirizzare e pilotare un trentennio di storie di mafia e di misteri. E tutto da soli. Sempre da soli. Senza un input, senza un ordine dall’alto, senza che nessuno coprisse loro le spalle. E disperatamente soli, con quel demone che li possedeva: far del bene agli italiani.

Ragazzacci? E perché mai? Meriterebbero più di un’assoluzione. Meriterebbero un 110 e lode, con pubblicazione e bacio in fronte.

B.COME BASTA!

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