Utilizzare CO2 per accumulare energia derivante dalle rinnovabili, attraverso un ciclo termodinamico mai progettato né realizzato prima. È italiana la prima batteria al mondo a CO2. Un’alternativa sostenibile (e riciclabile) rispetto alle batterie a litio e cobalto, materiali rari e dal notevole impatto ambientale.

“Ero in treno di ritorno da Zurigo e lì ho avuto l’idea di utilizzare la CO2 liquida per stoccare energia – racconta Claudio Spadacini al fatto.it –. Avevo iniziato a interessarmi alle tematiche di stoccaggio dell’energia da qualche mese, dalla compressione dell’aria o della liquefazione della stessa, fino ai sistemi che sfruttano forze gravimetriche e accumulo chimico”.

Nelle ore successive all’ideazione, l’ingegnere 51enne originario di Verbania, una laurea al Politecnico di Milano, con oltre 25 anni di esperienza nel settore dell’energia, si immerge in calcoli e valutazioni per verificare la fattibilità: quando, dopo una ricerca sul web, si rende conto che nessuno aveva proposto il concetto, sviluppa e deposita il brevetto alla base della CO2 Battery e di Energy Dome, l’azienda che oggi dirige. La tecnologia permette di stoccare in modo efficiente grandi quantità di energia, nell’ordine delle centinaia di MegaWatt/ora, e mira ad affiancare impianti eolici e grandi impianti fotovoltaici o sistemi per la produzione di idrogeno verde.

Perché puntare sulle energie rinnovabili e sulla sostenibilità? “La decarbonizzazione è un atto di responsabilità verso le generazioni future – risponde Claudio –. Chiunque abbia dei figli non può non porsi il problema della conservazione del pianeta, e l’energia è alla base di tutto”. La decarbonizzazione, così, diventa essenziale per cercare di rallentare e poi bloccare il cambiamento climatico: un fatto “indispensabile e assolutamente improrogabile”, aggiunge.

L’energia rinnovabile, essenzialmente solare ed eolica, ha raggiunto “livelli di affidabilità e competitività impensabili”, spiega Claudio. Ma ha un unico grande difetto: queste risorse non sono programmabili, il sole e il vento non sono controllabili. Il vero anello mancante verso la decarbonizzazione diventa lo stoccaggio di energia. “È una scommessa di dimensioni ciclopiche, che mira a dare un contributo alla soluzione del problema più grande che ci troviamo ad affrontare a livello globale”.

Quali sono state le difficoltà principali in questi anni? Nel febbraio del 2020, una settimana dopo aver avviato l’attività vicino a Malpensa, con “l’idea di essere il più possibile connessi al mondo”, l’Italia è entrata in lockdown, e per 4 mesi Claudio e i suoi soci non sono riusciti a entrare in ufficio, in un clima di “incertezza generale”. Il gruppo, spiega l’ad, (a partire dai co-founder Dario Rizzi e Francesco Oppici) è stato bravo a perseguire gli obiettivi, crescendo a un buon ritmo, nonostante la situazione globale e le difficoltà legate all’approvvigionamento e all’aumento dei costi. “Ci conosciamo da un decennio, abbiamo esperienze pregresse: il team è stato la chiave per lo sviluppo del progetto”.

L’altra grande difficoltà è la situazione del mercato dei Venture Capital, i fondi (spesso privati) investiti a lungo termine in imprese innovative ma caratterizzate da un elevato grado di rischio. “In questo settore l’Italia è davvero indietro e non paragonabile né agli Stati Uniti né agli altri Paesi europei, dove si trovano i nostri potenziali competitor”. Nonostante ciò, oggi il team conta un capitale raccolto di circa 25 milioni di euro, grazie al quale l’azienda è riuscita ad accelerare lo sviluppo della tecnologia, acquistando componenti e turbomacchine necessarie alla realizzazione del primo impianto di stoccaggio su scala industriale.

A maggio del 2022, infatti, è entrata in funzione la prima CO2 Battery, realizzata in Sardegna: un sistema di accumulo che funziona con un pallone aerostatico dove confluisce la CO2. “Tutto è andato per il meglio, e non era scontato. È stato incredibile vedere la nostra startup passare da un’idea a un impianto in funzione su scala commerciale, in grado di fare la differenza in così poco tempo”.

Certo, negli Usa la raccolta di capitali sarebbe stata più “semplice e rapida”, l’ambiente più “accogliente e florido” per le startup. Qualcosa si sta muovendo nella giusta direzione anche in Italia, grazie ad alcuni fondi e investitori nel settore del Deep Tech. Lo Stato, in questo senso, spiegano gli ingegneri, potrebbe fornire strumenti di agevolazione della crescita commerciale, meccanismi di riduzione del rischio finanziario, senza lasciare a società in “fase di lancio come la nostra l’onere di finanziare interamente la crescita, complicando lo sviluppo di tante tecnologie. Speriamo davvero che l’Italia ci supporti, sogniamo di diventare un marchio italiano a livello globale”. “La transizione energetica – conclude Claudio – è un’opportunità enorme per il Paese”.

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