Per Pechino si tratta di uffici aperti per assistere i cinesi all’estero con le pratiche burocratiche, come il rinnovo del passaporto o della patente. Ma dietro alle “stazioni di polizia” informali di Pechino all’estero si allungano altre ipotesi. E cioè che servano per sorvegliare i connazionali all’estero. Nel mondo sono oltre un centinaio sparse in 53 Paesi, e l’Italia è il Paese che ne ospita di più. Sono ben 11, con la prima allestita a Milano dall’agenzia di pubblica sicurezza di Wenzhou a maggio del 2016. A indagare sul caso fornendo stime e funzioni degli uffici è la ong spagnola Safeguard Defenders: nella prima ricerca sul controverso tema presentato a settembre, l’organizzazione aveva riferito che esistevano 54 stazioni di questo tipo nel mondo, provocando indagini in almeno 12 Paesi tra cui Canada (che dopo un ciclo di accertamenti ha ordinato la loro chiusura), Germania e Paesi Bassi. Nell’ultimo aggiornamento, diffuso oggi, figurano altre 48 stazioni, un centinaio quindi in totale, sparse in tutto il mondo, compresi i Paesi europei come Italia, Francia, Olanda, Spagna, Croazia, Serbia e Romania.

Le stazioni di polizia in Italia – I centri italiani sono stati individuati a Roma, Milano, Bolzano, Venezia, Firenze, Prato, dove vive la comunità cinese più numerosa, e in Sicilia. L’Italia, che ospita 330.000 cittadini cinesi, secondo i dati Istat del 2021, viene indicata come un terreno fertile per la potenziale influenza di Pechino grazie ai numerosi accordi tra i due Paesi, di cui quello sui pattugliamenti congiunti è tra i più interessati dalla vicenda. Il rapporto della ong è stato condiviso con Cnn. La rete americana scrive che l’Italia “dal 2015 ha firmato una serie di accordi bilaterali di sicurezza con la Cina” ed “ha ospitato 11 stazioni di polizia cinesi, tra cui Venezia e Prato, vicino a Firenze”. E “tra il 2016 e il 2018 la polizia italiana ha condotto molteplici pattugliamenti congiunti con la polizia cinese – prima a Roma e Milano – e successivamente in altre città tra cui Napoli, dove Safeguard Defenders ha trovato prove di un sistema di videosorveglianza in aree residenziali, ufficialmente per scoraggiare crimini”. Su questo punto, in ogni caso, la Cnn ha ricordato che “indagini locali su una delle stazioni non avevano portato alla luce alcuna attività illegale”. “Vediamo un aumento dei tentativi di reprimere il dissenso ovunque nel mondo, minacciare le persone, molestarle, assicurarsi che abbiano abbastanza paura da rimanere in silenzio o rischiare di essere rimandate in Cina contro la loro volontà”, ha affermato la direttrice di Safeguard Defenders Laura Harth, che cita in particolare il caso di un cittadino cinese costretto a tornare a casa da agenti che lavoravano sotto copertura in un sobborgo di Parigi, espressamente reclutati a tale scopo, e di altri due esuli respinti con la forza in Serbia e in Spagna. Il governo cinese, interpellato dalla Cnn a novembre, ha negato di gestire forze di polizia non dichiarate al di fuori del suo territorio. Affermando invece che si tratta di hub amministrativi, istituiti per aiutare gli espatriati cinesi ad espletare alcune pratiche, come il rinnovo della patente di guida o del passaporto, resisi ancora più utili durante le fasi più critiche della pandemia del Covid-19.

I rimpatri “forzati” – L’indagine della ong si è basata su dichiarazioni e dati cinesi pubblici e si è limitata a prendere in considerazione i centri istituiti dalle autorità di pubblica sicurezza locali nei Paesi in cui esiste una numerosa comunità cinese. Il gruppo per i diritti civili spagnolo, inoltre, ha sostenuto che le stazioni non ufficiali sono usate da Pechino per “molestare, minacciare, intimidire e costringere le persone a tornare in Cina“, avendo accumulato prove di intimidazione in contrasto con il canale ufficiale dell’estradizione. “Monitoriamo i dati cinesi e ad aprile abbiamo ricevuto dati dal ministero della pubblica informazione che hanno mostrato che 210mila persone sono state persuase a rientrare in un solo anno”, ha commentato Harth. Alcune delle persone costrette a rientrare erano tra gli obiettivi dell’operazione Fox Hunt, una grande campagna fortemente voluta dal presidente Xi Jinping, apparentemente per perseguire funzionari corrotti che erano fuggiti all’estero.

(nella foto: addestramento della polizia cinese)

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