di Bartolo Mancuso e Giulia di Pasqua*

L’assegno unico e universale è un sostegno economico alle famiglie attribuito per ogni figlio a carico istituito dal D.lgs. n. 230 del 29 dicembre 2021 a decorrere dal 1 marzo 2022. Nel sito del dipartimento per le politiche della famiglia si spiega che l’obiettivo del governo è stato quello di “riorganizzare e semplificare il sistema di contributi economici statali offerti alle famiglie con figli. Inoltre, il governo intende contribuire alla ripresa della natalità e al sostegno dell’occupazione dei genitori, con particolare riguardo a quella femminile.”

Come detto, l’assegno è previsto per ogni figlio del nucleo familiare e, di conseguenza, non varia nel caso in cui nella famiglia ci sia un unico genitore. Tuttavia, l’art. 4, comma 8 del decreto richiamato ha previsto una maggiorazione dell’assegno per ciascun figlio minore “nel caso in cui entrambi i genitori siano titolari di reddito da lavoro”. La maggiorazione prevista è pari a 30 euro mensili e tale importo spetta in misura piena per un Isee pari o inferiore a 15mila euro e si riduce gradualmente per i livelli di Isee superiori fino ad annullarsi nelle ipotesi di Isee pari o superiore a 40mila euro.

La disposizione presenta diversi profili di discriminazione. In primo luogo: non si vede perché una norma di sostegno preveda una maggiorazione a favore di soggetti in possesso di un reddito negandolo, nel caso in cui i genitori, o uno di essi, sia privo di reddito. Appare una punizione per i poveri inaccettabile, come se non avere lavoro sia una colpa.

In secondo luogo, non è accettabile negare tale maggiorazione alle famiglie in cui non ci siano due genitori. Anzi, non è proprio pensabile, tanto che l’Inps inizialmente riconosceva la maggiorazione anche alle famiglie monogenitoriali con figli minori, ma dal mese di settembre 2022 l’Istituto ha cessato di erogare la maggiorazione alle famiglie il cui nucleo è composto da un unico genitore paventando anche il recupero delle maggiorazioni corrisposte a partire dal mese di marzo 2022.

Alle prime richieste di chiarimenti, l’Inps ha risposto affermando di aver iniziato ad applicare il messaggio n. 1714 del 20 aprile 2022 con il quale lo stesso Istituto Previdenziale ha fornito un’interpretazione discriminatoria e punitiva della norma, precisando che “la maggiorazione per i genitori lavoratori non può essere richiesta in caso di domanda presentata per un nucleo composto da un solo genitore anche se lavoratore”.

Anche nelle Faq sull’assegno unico diramate dall’Inps si legge che “se si è genitore unico (vedovo o con figlio non riconosciuto), nella domanda non si deve selezionare la voce relativa al diritto alla maggiorazione per reddito da lavoro”.

L’interpretazione dell’Inps appare insensata. Ancora una volta, un soggetto potenzialmente più debole è destinatario di un trattamento di sfavore. Noi pensiamo che l’interpretazione dell’Inps sia errata e che sia comunque possibile una interpretazione costituzionalmente orientata, volta a rispettare l’uguaglianza sostanziale tra le diverse famiglie. Se così non fosse, non vi è alternativa che sollevare presso la Corte Costituzionale la questione di legittimità costituzionale della norma.

*Avvocati del lavoro

Articolo Precedente

Reddito di cittadinanza abrogato dal 2024 e “sostituito da nuova riforma”. E gli occupabili nel 2023 lo riceveranno solo per 8 mesi

next
Articolo Successivo

Caporalato, operazione a Fermo: 50 operai sfruttati. “Lavoravano 12 ore, pagati per 5”

next