Adesione altissima e una richiesta che diventa unanime: fuori ArcelorMittal, con la sua ad Lucia Morselli, dalla gestione dell’ex Ilva e una nazionalizzazione degli stabilimenti. Lo sciopero indetto dai sindacati dopo la decisione di Acciaierie d’Italia, joint venture del colosso franco-indiano e della statale Invitalia, di fermare 145 opere dell’indotto si trasforma in una richiesta in più voci al governo: gestire in prima persona la crisi senza il coinvolgimento di un partner privato, o almeno questo partner privato, ritenuto ormai inaffidabile. E mettere così fine a un’agonia che va avanti da anni, tra rilanci mancati e promesse tradite.

“Lo sciopero di oggi in tutti gli stabilimenti e la massiccia adesione dei metalmeccanici allo stesso e alle manifestazioni di Taranto e Genova segna l’avvio di una fase di mobilitazione che dovrà conseguire concreti e significativi risultati”, ha spiegato Gianni Venturi, responsabile nazionale siderurgia per la Fiom-Cgil. “Non si può infatti assistere – sottolinea Venturi – a una lenta e inesorabile agonia degli impianti, al deterioramento delle condizioni di sicurezza, al permanere di un utilizzo così ampio e unilaterale degli ammortizzatori sociali, al taglieggiamento delle imprese e delle condizioni dei lavoratori nell’indotto”.

La svolta, è la richiesta della Fiom, deve avvenire “in tempi rapidissimi”. Insomma, non si può attendere il 2024 perché Invitalia salga al 60% di Acciaierie d’Italia assumendone così il controllo: “Si deve sciogliere adesso il nodo dei rapporti con ArcerlorMittal: lo Stato acquisisca il controllo e la gestione degli impianti, nazionalizzando o comunque diventando maggioranza da subito nel consiglio di amministrazione”. Di “impostori” da “cacciare a pedate” parla invece il segretario generale della Uilm di Taranto, Davide Sperti, chiedendo una lettera congiunta con gli enti locali da inviare al governo con la richiesta: “Noi dobbiamo chiedere una nazionalizzazione della fabbrica. ArcelorMittal è totalmente inaffidabile, da quando è arrivato non ha mai creato un rapporto con i tarantini e utilizza i lavoratori come scudi umani per ricattare il governo”. Il segretario nazionale dei metalmeccanici Uil, Rocco Palombella, parla ormai di accordi tra ArcelorMittal e Stato che sono “carta straccia” per “l’irresponsabilità della multinazionale”.

Un motivo per l’intervento statale è arrivato dal sindaco di Taranto, Rinaldo Melucci, che ha parlato di “sintonia” con gli operai: “È imprescindibile che ArcelorMittal vada via. Serve un’Ilva italiana, nazionalizzata, che possa affrontare tutte le tematiche, non solo del mondo del lavoro, che sono care ai cittadini di questo territorio”, ha spiegato durante l’incontro con i lavoratori. Di “mano pubblica indispensabile” ormai parla chiaramente anche Giovanni Toti. Il presidente della Regione Liguria ha chiesto una “strategia” perché il Paese “non può rinunciare alla filiera” dell’acciaio: “Credo che su Ilva la mano pubblica sia indispensabile, come ritengo che un socio industriale sia fondamentale perché evidentemente come tutte le impresse necessita di un know how importante”. Poi ha aggiunto: “Sarà il ministero dello Sviluppo economico a decidere quale sia la strategia, l’importante è che sia chiaro a tutti che il tempo è poco e bisogna prendere delle decisioni nette. La politica deve tornare a saper scegliere”.

Negli scorsi giorni era emerso l’orientamento del governo di valutare la possibilità di anticipare l’acquisto delle quote da ArcelorMittal che porterebbero Invitalia, controllata dal ministero dell’Economia, al 60% del capitale sociale. Un modo per cambiare la governance dell’azienda, con l’ad Morselli – che non si è presentata alla convocazione del Mimt e del ministero del Lavoro – ritenuta la principale responsabile della sospensione dei lavori in appalto.

Una mossa che rischia di fermare 2mila lavoratori solo a Taranto e ritenuta da più parti come un “ricatto” al governo affinché il miliardo di euro stanziato nel decreto Aiuti dall’esecutivo Draghi venga utilizzato per le spese correnti, vista la crisi di liquidità in cui sta vivendo Acciaierie d’Italia. Proprio Invitalia, durante il faccia a faccia con sindacati ed enti locali a Roma, ha invece sottolineato che sono in corso “interlocuzioni” per stabilire come quei soldi verranno utilizzati. Il rischio è infatti che il miliardo venga bruciato per coprire le centinaia di milioni di debiti. Insomma, che venga assorbito per tamponare l’emergenza. In questo modo, l’ex Ilva si ritroverà punto e capo tra qualche mese.

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