Sei anni dopo la loro abolizione da parte della giunta di centrosinistra di Debora Serracchiani, potrebbero tornare in Friuli le province. Il consiglio regionale di Trieste è l’unico in Italia ad aver cancellato le strutture intermedie tra Regione e Comuni, che all’epoca erano quattro: oltre al capoluogo, Udine, Gorizia e Pordenone. A pochi mesi dalle elezioni, la giunta del leghista Massimiliano Fedriga rimette sul tavolo la riforma annunciata all’inizio di legislatura, ma mai attuata. “Abbiamo approvato in via definitiva il disegno di legge per reintrodurre il livello di governo intermedio nello Statuto regionale. Il testo andrà in aula a gennaio e prevede le modifiche statutarie necessarie per riportare le province in Friuli Venezia Giulia” ha annunciato l’assessore regionale alle Autonomie locali, Pierpaolo Roberti. Sulla proposta, che richiede una modifica dello Statuto, c’è l’intesa del Consiglio delle Autonomie locali. Solo due le astensioni. “E’ l’espressione da parte del territorio della mancanza di un ente intermedio per le politiche di area vasta capace di coordinare lavoro e funzioni ad un livello più basso rispetto a quello della Regione il cui compito è quello di legiferare, fare programmazione, ma non occuparsi di gestione del territorio” ha aggiunto Roberti. Secondo l’ipotesi di riforma, vi sarebbe l’elezione diretta dei componenti e questo è uno scoglio dopo la riforma statale che l’ha eliminata per le vecchie province.

La decisione ha subito fatto riaccendere un dibattito rimasto sottotraccia in questi anni. La maggioranza è, ovviamente, favorevole. Mara Piccin, consigliere regionale di Forza Italia, rivanga polemicamente il passato: “Per un capriccio di Debora Serracchiani, ossessionata dall’idea di essere la prima della classe, siamo stati gli unici in Italia ad abolire le province. Dopo la fallimentare esperienza delle Unità territoriali intercomunali, finalmente anche nella nostra regione ci sarà un ordinamento istituzionale logico e lineare, rispettoso del territorio”.

Esulta la Lega con le parole del consigliere Diego Bernardis, presidente della commissione regionale competente in materia di enti locali, che già adombra un tema della prossima campagna elettorale: “Si tratta di un ulteriore impegno mantenuto dall’amministrazione Fedriga. Oltre ad un aspetto identitario, c’è anche un non trascurabile fattore economico: i contributi di aiuti e i sussidi che lo Stato eroga gli enti intermedi, tra cui ovviamente le province, in questi anni sono andati persi in Friuli a causa della sciagurata riforma voluta dal duo Panontin-Serracchiani, calata dall’alto e assolutamente avversa alle amministrazioni locali”. Il riferimento è all’ex governatrice e all’ex assessore alle autonomie locali Paolo Panontin.

Il Partito Democratico sembra intenzionato a dare battaglia, in difesa della modifica statutaria voluta nel 2016. Il segretario regionale Renzo Liva dà un giudizio assolutamente negativo: “Questa decisione è frutto dell’egoismo di una classe politica di destra che pensa solo a se stessa, a moltiplicare le poltrone. Noi pensavamo: meno poltrone, meno sedi faraoniche, meno spese di rappresentanza, più potere ai Comuni, più coordinamento e concertazione. Non servono altri presidenti, assessori e consiglieri, perché sono spariti al momento giusto. L’unica verità è che i comuni sono stati abbandonati dalla giunta Fedriga, senza personale e in balia del capriccio del potente che elargisce milioni. Il resto sono chiacchiere, più burocrazia e soldi buttati”.

La posizione problematica dei Cinquestelle è sintetizzata da Mauro Capozzella: “Siamo pronti a confrontarci sul tema delle province, ma una cosa è certa: ci opporremo alla loro elezione diretta”. Poi si chiede: “Quali bisogni dei cittadini saranno chiamati a soddisfare i nuovi enti? Quante province avremo? L’assessore Roberti si ispira al modello trentino con due province autonome? Dopo anni di annunci, ora abbiamo un testo che l’assessore e la Lega mettono sul tavolo con perfetta tempestività elettorale”. Avviso finale: “Da parte nostra cercheremo con tutte le forze di far capire che un moltiplicatore di poltrone non serve a nessuno. La nostra regione privata di Province è già un unicum in Italia, proporre l’elezione diretta significherebbe continuare ad essere diversi, ma dopo svariati e goffi fallimenti, da sinistra come da destra”.

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