Una volta, durante un faccia a faccia con i sindacati, passò l’intera riunione a leggere un giornale. Accanto aveva la sua borsa con tanto di scritta: “Non disturbare, sto salvando il mondo”. Si può partire da qui per raccontare Lucia Morselli, amministratrice delegata di Acciaierie d’Italia ed espressione di ArcelorMittal, multinazionale che detiene ancora la maggioranza delle quote della joint venture che, insieme allo Stato italiano attraverso Invitalia, gestisce l’ex Ilva di Taranto. E anche il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, ci ha messo molto poco a conoscere le provocazioni improvvise della manager dell’acciaio (e d’acciaio) quando ha in testa un obiettivo.

Il disappunto del ministro Urso – “Ho avuto un confronto personale nei giorni precedenti con l’azienda, il presidente, l’amministratrice delegata e con il socio pubblico, ma nessuno mi aveva detto che c’era una decisione di questo tipo”, ha raccontato Urso. Insomma, è stato colto di sorpresa anche lui dalla sospensione di 145 ordini a numerose ditte dell’appalto della fabbrica tarantina che rischia di lasciare migliaia di lavoratori a casa. Parole usate per evidenziare la necessità di “riportare nei giusti binari il confronto tra azienda, azionista pubblico e governo”. E lo stesso Urso – che giovedì incontrerà i sindacati per discutere del delicato momento del siderurgico – ha definito una “decisione sorprendente” l’ultima forzatura di Morselli.

E il fronte anti-Mittal si ricompatta – Per alcuni è un ricatto, per il sindaco di Taranto si tratta di “un’estorsione”, altri la definiscono una minaccia e una provocazione. In definitiva, la decisione di bloccare tutti i lavori non collegati alla marcia dell’impianto o agli adeguamenti alle prescrizioni Aia, ha avuto come unico risultato quello di compattare il fronte anti-ArcelorMittal: sindacati, istituzioni locali e nazionali, tutti sembrano ormai esasperati dai colpi di teatro messi in campo dalla manager che, dal suo arrivo al vertice italiano della multinazionale, ha inflitto il colpo di grazia al già difficile rapporto tra il siderurgico e il territorio. Un rapporto che il suo predecessore, Matthieu Jehl, stava tentando a fatica di ricostruire. Fino all’ottobre 2019, quando la “manager di ferro” è stata nominata al vertice dei nuovi padroni dell’acciaio italiano. Da quel momento le tensioni tra l’impresa e il territorio, locale e nazionale, sono salite fino a raggiungere livelli mai toccati forse neppure durante la gestione della famiglia Riva.

Gli impianti? Prima “criminali”, poi un “orgoglio” – Come quando nel novembre di tre anni fa fu proprio Morselli a dichiarare che ArcelorMittal era intenzionata a rescindere il contratto stipulato un anno prima con l’allora ministro Carlo Calenda per la gestione della fabbrica: l’amministratrice delegata, spiegando la decisione di lasciare Taranto dopo l’abrogazione dell’immunità penale, non solo affermò che lo Stato italiano aveva “preso in giro i più grandi produttori al mondo di acciaio” e i “salvatori della Patria”, cioè i Mittal, ma definì “criminali” gli impianti dell’acciaieria ionica. Un attacco frontale che si chiuse poco dopo quando lo Stato annunciò il suo ingresso nella gestione con un carico di miliardi. Ospite del salotto di Bruno Vespa, Morselli sembrò essere stata folgorata sulla via di Damasco e gli impianti “criminali” divennero l’orgoglio italiano: “Credo che dobbiamo essere tutti orgogliosi di questo impianto, il più bell’impianto d’Europa, il più moderno, il più potente, tutti ce lo invidiano. E credo che sia un privilegio essere a lavorare lì”.

“Non disturbare, sto salvando il mondo” – Ma non è solo verso lo Stato che Morselli ha rivolto le sue provocazioni. Nel 2021, l’Italia conobbe la storia di Riccardo Cristello, 45enne impiegato tecnico dell’ex Ilva licenziato da ArcelorMittal dopo la pubblicazione di un post su Facebook ritenuto altamente lesivo dell’immagine aziendale. Il giorno del ricorso presentato dal sindacato Usb, mentre l’Italia seguiva la vicenda, Morselli decise di non partecipare all’incontro con gli avvocati dei lavoratori e di recarsi allo stadio Erasmo Iacovone per assistere a una partita del Taranto Calcio. Del resto la sua idea verso i sindacati l’aveva già manifestata nel 2020 quando si presentò a un incontro infuocato con una borsa sulla quale era scritto: “Non disturbare, sto salvando il mondo”. E lesse un giornale per l’intera durata della riunione. Di “atteggiamento arrogante, sprezzante e vergognoso, di chi continua a giocare con la vita delle persone” parlò Franco Rizzo, segretario dell’Usb ionico.

L’irruzione al sit-in degli operai – Non solo. A maggio scorso, in occasione di un sit-in degli operai davanti allo stabilimento, Morselli decise di scendere tra loro. Sotto una pioggia battente, armata di casco e giubbotto, si ritrovò faccia a faccia con un operaio che gli raccontò il dramma di vivere con tre figli, un mutuo da pagare e un salario di 900 euro: per minuti che apparvero interminabili, la manager restò impassibile. Di fronte alle accuse di altri operai, non mosse che qualche muscolo del viso solo per dissentire scuotendo leggermente la testa. Una sfinge. La stessa di cui anni prima avevano raccontato durante la sua esperienza all’Ast di Terni, dove arrivò con la fama di “tagliatrice di teste”.

Le ferie che diventano cassa integrazione – Diverse sono state le denunce dei sindacati per le decisioni prese senza alcuna consultazione: migliaia nel corso degli anni sono stati i lavoratori che sono arrivati la mattina ai cancelli della fabbrica e hanno scoperto di essere stati collocati in cassa integrazione durante la notte, senza che nessuno li informasse. E ancora oggi sul tavolo degli ispettori del lavoro c’è la decisione di trasformare le ferie e le malattie degli operai in giorni di cassa integrazione: un modo per scaricare sullo Stato i costi di una gestione che avrebbe dovuto riportare la fabbrica di Taranto tra i grandi player mondiali dell’acciaio e che invece fatica a raggiungere gli obiettivi di produzione prefissati.

Ma la produzione… e ora batte cassa – Per il 2022, ad esempio, l’ex Ilva avrebbe dovuto raggiungere quota 5,4 milioni di tonnellate d’acciaio, ma difficilmente riuscirà a superare i 4 milioni. Ma per lei, la colpa è tutta dei commissari straordinari di in Ilva in Amministrazione straordinaria, società proprietaria degli impianti, e non dell’affittuario Acciaierie d’Italia. Strali che in passato le hanno permesso di ottenere puntualmente iniezioni di liquidità per milioni e milioni di euro. Anche questa volta l’obiettivo era quello di spingere il governo a versare il miliardo di euro garantito da Mario Draghi col decreto Aiuti bis. “Ci aspettiamo un passo indietro a ore”, ha tenuto il punto il ministro Urso. Questa volta, insomma, qualcosa potrebbe andare diversamente.

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