Più che linea verde per la Nazionale, il ct Roberto Mancini continua con la “linea Gnonto”. Per i giovani promettenti la maglia azzurra non deve essere più solo un sogno da soddisfare con una serie di voci a curriculum (un tot di presenze in A, giocare per un top club), ma una porta sempre aperta per chi ha talento. Certo, poi il talento da solo non basta, infatti Mancini non si è fatto scrupoli negli ultimi mesi a lasciare a casa chi di talento ne ha parecchio, vedi Zaniolo e Zaccagni, per motivi disciplinari. E allora dentro tre esordienti: gli juventini Fabio Miretti e Nicolò Fagioli e il 16enne dell’Udinese Simone Pafundi.

I primi due non rappresentano una grossa sorpresa: Miretti è stato spesso impiegato da Max Allegri nel centrocampo della Juventus, giocando anche in Champions League da titolare laddove la concorrenza non manca; Fagioli, dopo un grande campionato alla Cremonese coinciso con la promozione in Serie A, ha dimostrato di poterci stare eccome alla Juventus segnando il gol decisivo che ha portato tre punti contro il Lecce e bissando addirittura contro l’Inter trovando il 2-0 che ha rilanciato i bianconeri in campionato. Insomma: in una Nazionale in fase di ricostruzione, dove i giovani italiani bravi si vanno a pescare anche se giocano allo Zurigo, Miretti e Fagioli ci stanno di diritto.

Discorso diverso per Pafundi. Sedici anni e una sola presenza in Serie A – il primo 2006 ad esordire nel massimo campionato – forse rappresenta la più grande speranza italiana per il futuro, per diverse ragioni. Figlio di una coppia napoletana emigrata a Monfalcone per lavoro, Pafundi già ad 8 anni dribblava praticamente il mondo senza troppi problemi. Ha un sinistro che è un sussurro al pallone: sussurro che il destinatario pare ascoltare sempre con grande attenzione. Su di lui si sono dette cose importanti: “È la cosa più vicina a Messi mai vista”, è stato il commento di chi lo ha visto per la prima volta. “Ha il piedino di Maradona”, e questa arriva da Andrea Carnevale, uno che il piedino di Maradona ha avuto modo di vederlo, di studiarlo e di beneficiarne.

A guardarlo nelle gare della Primavera (dove gioca contro ragazzi più grandi di lui) si ha effettivamente l’idea di qualcosa di non ordinario: il pallone incollato al piede durante le accelerazioni e la capacità di trovare e vedere spazi non convenzionali di azione fanno intravedere qualcosa di molto buono. L’azzurro l’ha vestito, come Miretti e Fagioli, già negli stage di maggio, e con l’Under 17 ha segnato 4 gol in cinque gare. In più c’è il ruolo: Simone Pafundi è un trequartista puro, indiscutibilmente, per fisico (mingherlino e non altissimo) e soprattutto per testa e piede. Un ruolo che allaNazionale italiana manca ormai da anni, da troppi anni.

Già perché la grande tradizione dei “dieci”, quella che ha portato pure a rivalità formato bipolare (Rivera-Mazzola, Baggio-Del Piero, Del Piero-Totti con in mezzo i vari Zola e Antognoni) si è interrotta con il Pupone e Pinturicchio. Pirlo era un regista arretrato, Insigne che la 10 l’ha portata agli ultimi Europei e in generale negli ultimi anni era un’ala. Pafundi può riprendere quel filo che si è interrotto. Può, e non deve: ha 16 anni e una sola presenza in Serie A sulle spalle, per ora ancora troppo strette per metterci su altro che non sia la speranza e qualche verso di De Gregori.

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