Le truppe russe via da Kherson per rischierarsi sulla riva sinistra del fiume Dnepr? L’annuncio della Russia, accolto da più parti come una “svolta” nella guerra, lascia perplessa proprio l’Ucraina con il consigliere di Zelensky che sottolinea come alle dichiarazioni in tv del ministro della Difesa russo Serghei Shoigu non sembrano seguire movimenti sul campo. Il presidente ucraino ha poi aggiunto che l’Ucraina si sta muovendo “con molta attenzione. Il nemico non ci fa regali, non fa ‘gesti di buona volontà. Pertanto, ci muoviamo con molta attenzione, senza emozioni, senza rischi inutili, nell’interesse di liberare tutta la nostra terra e in modo che le perdite siano il più ridotte possibile”

L’ordine di ritirarsi da Kherson impartito da Shoigu, ha riferito la Tass, è stato dato dopo un rapporto ricevuto dal comandante delle forze russe in Ucraina, generale Surovikin. Quest’ultimo ha detto che dalla regione sono stati evacuati 115.000 civili e ha accusato gli ucraini di avere bombardato scuole, ospedali e gli stessi civili evacuati al di là del Dnepr. Il ministro della Difesa russo ha quindi approvato la proposta di schierare le truppe sulla riva sinistra del Dnepr per organizzare una nuova linea difensiva dopo la ritirata. La decisione è stata presa perché sulla riva destra del fiume le forze russe rischiavano un isolamento totale e i civili rimasti erano a rischio per i bombardamenti di Kiev, riferisce l’agenzia russa Interfax. Ma a buttare acqua sul fuoco alle dichiarazioni arrivate da Mosca è stato proprio il governo ucraino. Il consigliere del presidente ucraino Mykhaylo Podolyak ha dichiarato che l’Ucraina “non vede alcun segno che la Russia stia lasciando Kherson senza combattere”, suggerendo che l’annuncio potrebbe essere una manovra e definendo l’ordine una “dichiarazione televisiva inscenata”.

Negli scorsi giorni, attraverso i media americani, era trapelato un pressing da parte del presidente statunitense Joe Biden su Zelensky affinché arrivi ad accettare un punto di caduta per aprire un tavolo negoziale con Putin. Quindi, nelle scorse ore, si era anche fatta strada l’ipotesi – filtrata da fonti dell’amministrazione di Washingtonche proprio la ritirata russa da Kherson potesse rappresentare il ‘segnale’ atteso dagli Usa per cambiare la postura nei confronti di Mosca, iniziando a trattare con il Cremlino. E proprio dalla Russia è arrivata una nuova apertura ai negoziati con Kiev. La portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, ha spiegato che la Russia è “ancora aperta alle trattative, tenendo conto delle realtà che stanno emergendo in questo momento”.

Al di là dello scetticismo ucraino, ci sono segnali che Mosca abbia deciso sul serio di rinunciare a Kherson. A partire dagli oltre 110mila civili che le autorità filo-russe hanno costretto ad evacuare dalla regione, a fronte della crescente spinta militare degli ucraini. E proprio per rallentare le forze di Kiev, i russi avrebbero fatto saltare numerosi ponti, almeno cinque. Dello stesso avviso sembra essere il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg, secondo cui “la Russia ha perso l’iniziativa militare” e per questo “è stata costretta a cedere territorio”.

I prossimi giorni, probabilmente, diranno quale sarà la portata reale delle dichiarazioni di Shoigu. Ma perché il ritiro è così importante? Kherson è l’unico capoluogo di regione occupato dai russi e fu la prima importante città conquistata a marzo dagli invasori. La città riveste quindi sia un’importanza strategica che simbolica per il conflitto. Situata sulla sponda ovest del fiume Dnipro, Kherson era un centro culturale e industriale di 380mila abitanti prima dell’invasione russa. Il suo porto fluviale era un importante sbocco per il trasporto del grano verso il vicino Mar Nero e sede di un grande cantiere navale.

Ma per la sua posizione geografica, Kherson è anche una strategica porta verso la Crimea, la penisola occupata dai russi nel 2014 che Kiev vuole riportare sotto la sua sovranità. Il ritiro dall’unico capoluogo regionale ucraino occupato segnerebbe quindi una sconfitta per il presidente russo Vladimir Putin. Non è nemmeno passato un mese e mezzo dal 29 settembre, quando il leader del Cremlino ha firmato il decreto di annessione delle regioni ucraine di Donetsk, Luhansk, Zaporizhzhia e Kherson, di cui controlla in realtà sempre meno territorio.

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