Insufficienti ore di servizio erogato e mancanza di figure professionali adeguate. L’assistenza domiciliare per le persone con disabilità non viene garantita con gli stessi standard di qualità in tutta Italia e all’interno della stessa Regione o addirittura Comune, molto spesso, i servizi erogati non sono uguali per tutti. Il problema della frammentarietà e delle prestazioni non idonee fornite viene confermato da tutte le principali associazioni, tra cui la Federazione tra le associazioni dei disabili (Fand) e la Federazione per il superamento dell’handicap (Fish). Contattato da ilfattoquotidiano.it, a confermare il quadro nazionale di insoddisfazione e disomogeneità territoriale, è anche il Coordinamento nazionale famiglie con disabilità (Confad) che ha stilato un’analisi sul tema dell’assistenza domiciliare, oltre ad aver realizzato un questionario (2mila intervistati), sulla condizione di estrema fragilità delle persone con disabilità e i loro caregiver.

Assistenza domiciliare: “Un diritto disatteso nei fatti” – Confad è fondata nel 2007 e si batte per la promozione dei diritti delle famiglie con disabilità. Alessandro Chiarini è il presidente e sottolinea come anche questo argomento rientri nell’annoso problema dei diritti negati o riconosciuti in modo insufficiente rispetto alle reali esigenze. “Una situazione tanto più inaccettabile dal momento che le normative in tal senso esistono e sono chiare ma puntualmente non vengono applicate”, denuncia. “Addirittura sconosciute nella stragrande maggioranza dei casi, risultano quelle che definiscono e disciplinano gli strumenti a favore dei progetti di vita indipendente della persona disabile, tutelandone il diritto a una vita quanto più dignitosa possibile, che non possono prescindere innanzitutto da una adeguata assistenza domiciliare”, aggiunge.

I principali problemi – Gli elementi di criticità, ad esempio, che riguardano l’Assistenza Domiciliare Integrata (ADI) fornita dai distretti sanitari territoriali sono molteplici. Le difficoltà iniziano già con l’attivazione del servizio, in prevalenza su richiesta della persona disabile o della famiglia: “Raramente i servizi preposti informano adeguatamente gli utenti aventi diritto e si attivano. Vige ancora una scarsissima cultura del dovere di informazione da parte dei servizi pubblici, comuni e distretti sanitari, nei confronti della cittadinanza, che invece ha tutto il diritto di ricevere una giusta informazione”, dice Chiarini.

Altra criticità è che si tratta di un “servizio strutturato quasi esclusivamente sulle esigenze degli adulti, in particolare degli anziani”. La fascia della popolazione pediatrica con disabilità (tra l’altro, secondo gli ultimi dati Istat, in aumento) è non solo trascurata, ma addirittura non contemplata in diversi casi. “I bambini non autosufficienti hanno esigenze e necessità specifiche e dunque hanno bisogno di una presa in carico che ne tenga conto, affinché la gestione dell’assistenza a casa possa avvenire in maniera adeguata e in piena sicurezza”.

Altro problema grave evidenziato da Confad è la “mancata presa in carico dei pazienti con bisogni complessi”, che quindi necessita di una assistenza maggiore con più ore di infermieristica e di diverse figure mediche specialistiche. Infine altri gravi criticità sono il continuo turnover del personale dedicato, con comprensibile disagio per le famiglie, ma anche l’erogazione diretta del servizio. “Quest’ultima è la forma di erogazione delle prestazioni più utilizzata dagli enti – dice Chiarini -. C’è una scarsa propensione, da Nord a Sud, a optare per la forma indiretta dove sono anche le famiglie a decidere. L’indiretta risponderebbe in maniera più aderente alle esigenze della persona disabile e del caregiver, permettendo oltretutto un minore investimento economico con tagli agli sprechi, che andrebbero a beneficio delle casse pubbliche, evitando il circolo più oneroso che coinvolge le cooperative che erogano i servizi”.

“Moltissime famiglie hanno subito tagli all’assistenza” – Secondo quanto emerge dallo studio “il Covid-19 ha fatto peggiorare in maniera drammatica la qualità di vita delle persone disabili e dei loro caregiver”. Attraverso il sondaggio Confad sono emerse criticità esplose durante la pandemia: il 65% degli intervistati ha dichiarato di non aver avuto nessun contatto con i centri di riferimento, con la drammatica conseguenza che non è stato attivato nessun servizio (fisioterapia, logopedia, infermiere, oss, educatore); nel 74% dei casi non c’è stata nemmeno un’offerta di assistenza da remoto; i servizi sul territorio hanno evidenziato uno stato di carenza tale per cui nell’80% dei casi non erano previsti oppure, se attivi, sono stati interrotti.

Parallelamente, è stato inevitabile riscontrare un aumento del carico di assistenza da parte del caregiver familiare, al punto che, nella fase 1 del Covid-19, l’86% di loro ha dichiarato di aver subito un danno fisico-emotivo. “Queste sono le criticità mai risolte – conclude Chiarini – che gravano ancora adesso in Italia. È difficile dare un giudizio netto su quali siano le regioni più virtuose e quali meno, a causa della enorme e inaccettabile disomogeneità persino all’interno di uno stesso Comune”. Dalle numerose testimonianze raccolte si evince una situazione differente a seconda del grado di efficienza dei singoli distretti sanitari. “Ciò che con certezza si può dire è che la situazione è molto lontana dal potersi definire sufficientemente adeguata. E questo non è in nessun modo più tollerabile”, conclude Chiarini.

In Puglia livelli essenziali di assistenza disattesi – “L’assistenza domiciliare in Puglia per le persone disabili è sempre stata critica, ad esempio evidenziamo la mancanza di figure specializzate assegnate alle famiglie che ne hanno bisogno con urgenza”. A denunciarlo è Maria Rosaria Passaro, referente Aisla Brindisi. “Occorre maggiore attenzione, perché la situazione è peggiorata”. Cosa serve? “Occorrono corsi di formazione per informare e formare sanitari e non. La persona che entra in casa di un disabile deve ben sapere come entrare e cosa fare”.

Aisla, che Passaro rappresenta nel brindisino da circa 20 anni, tra le sue mission ha proprio quella della formazione. “Ci sono naturalmente dei distretti di alcune province in cui la situazione va meglio; l’assistenza domiciliare è un servizio con troppe disomogeneità”. Tanto si può fare e si deve fare ancora. “Bisogna investire di più sul campo dell’assistenza domiciliare alle persone con gravi disabilità”.

In Puglia, ad esempio anche per le persone con autismo, non è adeguata. C’è una associazione a Brindisi che si chiama Il bene che ti voglio, il cui presidente Alessandro Cassato sta cercando di creare una rete regionale, con iniziative come Città smart in blu, evitando ai ragazzi con autismo la fila fuori dai negozi. “L’assistenza per ragazzi autistici è quasi pari a zero e le cose vanno male su gran parte del territorio regionale. Per quanto riguarda i gravissimi è totalmente assente”, dice Cassato a ilfattoquotidiano.it.

Marco è un ragazzo autistico di 14 anni che non ha mai avuto assistenza domiciliare dal pubblico. “L’unica esperienza che ha fatto è stata di natura privata con Serena, una terapista ABA molto brava e competente”, racconta Mario, il padre. “I vari Lea tanto sbandierati e le linee guida sono disattesi, noi genitori continuiamo a lottare per vedere riconosciuti i diritti dei nostri figli”.

In Abruzzo si deve pagare – Anche in Abruzzo la situazione non è delle migliori. “Dallo scorso primo luglio, per noi famiglie è saltata fuori la novità che il servizio di assistenza domiciliare è diventato in buona parte a pagamento”, dice a il fattoquotidiano.it Alessandra Portinari, presidente Angsa Abruzzo. “Le comunicazioni sono arrivate a scadenza, e neanche a tutti, motivo che ha creato grandi disagi alle famiglie. Alcune di loro hanno dovuto rinunciare all’assistenza perché non potevano permettersi di pagare la retta”, racconta.

Ancora una volta colpite le famiglie più fragili. “In tempi come questi, dove tutte le famiglie sono state fortemente penalizzate dai vari rincari, non solo delle bollette, si sarebbe potuto fare a meno di chiedere alle persone con disabilità di provvedere a proprie spese ad un servizio per molti essenziale”. Gloria abita a Chieti e ha una figlia, Angelica, di 10 anni con una malattia rara e grave. Per l’assistenza a casa necessaria per la sua qualità di vita deve pagare 5 euro all’ora, senza avere continuità né qualità. “L’educatrice che viene ora non aveva mai avuto esperienza con minori come mia figlia, manca un piano di formazione professionale”. Il fatto che è costretta d’ora in poi a compartecipare alle spese la sta mettendo in una situazione delicatissima. “Non sono d’accordo per la compartecipazione a carico delle famiglie come la nostra, perché questi ragazzi per le cose di cui hanno bisogno per vivere già portano via tanti soldi e ciò che ricevono non è sufficiente a pagare tutti i servizi”, denuncia Bottini. “Inoltre per la mancanza di operatori qualificati varie famiglie in Abruzzo hanno rinunciato al servizio di assistenza a casa”.

In Lombardia troppi privati accreditati, pochi investimenti e zero integrazione – L’assistenza domiciliare in Lombardia non sempre è garantita con standard di qualità sufficienti. Secondo l’ass0ciazione Nessuno È Escluso “non funziona per tutti gli aventi diritto in maniera adeguata dal momento che il sistema previsto dalla Regione non è in grado di prendere in carico tutti quelli che hanno bisogno”. Questo perché avviene? “Ciò da un lato – afferma il vice presidente Fortunato Nicoletti – perché prevede che sia tutto in mano al privato accreditato e dall’altro perché l‘integrazione dei diversi interventi (sanitari e sociali), punto cardine dell’ADI, non c’è”.

Da una comparazione effettuata dalle associazioni dei disabili emerge che la Lombardia in rapporto alla popolazione è una delle Regioni che investe meno nella assistenza a casa e quello che investe non valorizza le figure professionali preposte che si trasferiscono in ospedali-centri. “Stiamo andando sempre di più verso la “medicalizzazione” dei servizi anche quando di interventi sanitari puri non c’è necessità – dice Nicoletti – e ciò può diventare pericoloso perché poi sono le famiglie che quasi sempre restano sole a gestire carichi assistenziali insopportabili”.

Ad esempio, il caso della figlia che da gennaio ha subito un taglio del 40% delle ore di assistenza dimostra che questa “è un’emergenza perché l’inadeguatezza o addirittura la mancanza di tale servizio impatta anche da un punto sociale-relazionale”. Dovrebbe avere la copertura dell’assistenza assicurata nelle ore scolastiche oltre che ulteriori ore a domicilio per permettere la gestione di presidi, ausili e terapie. “Abbiamo depositato un ricorso d’urgenza al tribunale di Milano affinché venga emesso un provvedimento che garantisca a nostra i propri diritti e possa fare da giurisprudenza”.

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