“Digli ai tuoi figli di andare a lasciare l’ambulanza là sotto, dove se la sono andati a prendere”, così intima al cugino Michele Sciarabba, considerato il reggente della famiglia mafiosa di Misilmeri, paesino a pochi chilometri da Palermo. Parla con Massimiliano D’Ambrogio per redimere una lite col fratello, Salvatore D’Ambrogio, in merito alla gestione dei trasporti dei malati e del parco auto delle loro aziende. A causa della lite, infatti, i figli di Massimiliano avevano sottratto delle ambulanze di Salvatore e questo, sicuro “dell’ascendente che Michele Cosimo Sciarabba ha nei confronti del fratello Massimiliano chiedeva il suo intervento per redarguire il fratello”. E così faceva Sciarabba che intercettato dai Carabinieri di Palermo parlava interessandosi della gestione delle ambulanze. Settore che assieme a quello delle onoranze funebri veniva gestito dal gruppo mafioso, che addirittura deteneva “l’intera gestione dei servizi di trasporto malati a mezzo ambulanze e della gestione delle onoranze funebri – scrive la giudice per le indagini preliminari Antonella Consiglio – collegata, negli ospedali di Palermo, Civico e Policlinico come appannaggio totale di Cosa Nostra”. Questo emerge dall’inchiesta dei carabinieri coordinati della procura di Palermo, guidata adesso da Maurizio De Lucia. Un’indagine avviata nel gennaio del 2021, seguita dal procuratore aggiunto della Dda Paolo Guido e i pm Bruno Brucoli e Gaspare Spedale, che ha portato all’arresto di 6 persone.

Torna in carcere Sciarabba, che nell’aprile del 2019 aveva finito di scontare una condanna per associazione mafiosa. In manette finiscono anche, il suo più attivo collaboratore, Alessandro Ravesi, Salvatore Baiamonte, Benedetto Badalamenti, Giusto Giordano e Giovanni Ippolito. Dirimeva le liti sulla gestione delle ambulanze, dopo avere ereditato la reggenza del mandamento di Misilmeri – Belmonte Mezzagno dal padre Salvatore, detto Totino, che aveva retto il mandamento tra il 2017 e il 2020 assieme al coreggente con Filippo Bisconti. Poi Totino è stato condannato alla pena di 14 anni il 3 dicembre del 2020. Ma il figlio Michele Cosimo era già fuori dal carcere, solo soggetto alla sorveglianza speciale e obbligo di dimora. I movimenti dentro e fuori dalla prigione sono non a caso argomento ghiotto nel gruppo: “Un mese ci manca e siamo a posto e possiamo andare a comprare di nuovo il pallone, già la squadra è fatta, ahia ahia, manca il Super Santos (tipo di pallone da calcio, ndr) possiamo andare a giocare di nuovo al pallone”, così riferiva Francesco Vasta il contenuto della lettera che dal carcere aveva inviato Aristide Neri. Una squadra da ricomporre per gestire il territorio. Il clan aveva provato a imporre il pizzo ad alcuni imprenditori che però, con l’aiuto di Addiopizzo, hanno denunciato i tentativi di estorsione.

Ma dall’indagine è soprattutto emerso “un quadro allarmante di quella che è l’organizzazione e la gestione dei trasporti sanitari”, dove Sciarabba mostrava grande “competenza” quando, per esempio, parlando col cugino Totino D’Ambrogio, si lamentava della gestione attuale dei trasporti dei malati Covid: “… Michele: Perché con l’Asl? – Totino: Perché il 118 è saturo di tutte le persone che fanno le cose… perché ci arrivano alle 11 e se ne vanno a casa a mezzanotte… – Io non capisco un’altra cosa, il 11 dice che è pieno di lavoro, ci siamo fino a qua? E perché fanno i trasporti, i trasporti Covid negli altri ospedali, perché li porta che tu già hai il tuo lavoro, devi andare a togliere lavoro… – Perché quelle sono ambulanze interne, non c’entra… – no… – hanno altri impegni, però lo sanno fare – è normale… – Hanno preso per dire 5-6 ambulanze e le hanno dedicate per il trasporto Covid. – e scusa se io la notte sono là al Buccheri (ospedale Buccheri La Ferla, ndr) perché mi devi venire a togliere il pane a me? Perché tu ce lo fai per esempio…”. A parlare nelle intercettazioni anche Alessandro Nicolosi, titolare di un’onoranza funebre: “Giriamo tutti i paesi Gio, perché li abbiamo tutti… noi fino a Reggio Calabria li abbiamo tutti, forse non ci siamo capiti”. E più in seguito nella conversazione racconta: “Una volta mi è successo una cosa… ero con Massimo ed eravamo tutti e due al Civico, viene una signora e dice: senta le ma la dà una penna? Massimo le ha detto… dagli la penna… quella signora non gli è morto il marito ed ha chiamato a me, signora… eravamo in due, ma a mio cugino le è sembrato un’altra persona che… se era un altro mi fregavo il morto, scusami un attimo…”.

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