Il nuovo governo è nato proprio mentre in Veneto ricorreva il quinto anniversario del referendum autonomista, che il 22 settembre 2017 ha chiesto a stragrande maggioranza allo Stato la concessione di 23 deleghe. Mentre Zaia continua a dire che questa è “la madre di tutte le battaglie”, in realtà la delusione in casa leghista è molto forte. Perché tra i nuovi ministri non c’è neppure un veneto che rappresenti il partito. Quelli della Lega sono tutti lombardi (oltre a Matteo Salvini, Roberto Calderoli, Alessandra Locatelli, Giancarlo Giorgetti e Giuseppe Valditara), mentre a Nordest i ministri sono addirittura quattro, ma appartengono ai partiti concorrenti: il trevigiano Carlo Nordio, il padovano Adolfo Urso e il pordenonese Edmondo Cirielli per Fratelli d’Italia, la padovana Maria Elisabetta Alberti Casellati per Forza Italia. Che sarebbe arrivata la doccia fredda a Venezia lo hanno capito quando il segretario lumbard ha indicato il veronese Lorenzo Fontana per la carica di presidente della Camera dei Deputati. Un contentino, un modo per dire che comunque la regione è rappresentata ai massini livelli dello Stato. Tutti sanno però che la presidenza di Montecitorio è prestigiosa, ma ha pochi effetti sul peso territoriale del partito.

Per questo Zaia ha accolto il giuramento con un diplomatico “buon lavoro a tutti i nuovi nominati e, in particolare, ai neo ministri veneti”, ricordando la richiesta di autonomia e le infrastrutture per le Olimpiadi Milano-Cortina 2026. Freddino, anche perché ha capito che la partita la conduce Salvini e lui, pur governatore popolarissimo, poco può contare nelle scelte nazionali. Però i colonnelli di Zaia si sono dimostrati meno diplomatici, anche perché a tutti brucia il disastro elettorale che ha portato Fratelli d’Italia, in Veneto, oltre il 32 per cento, relegando la Lega al 14 per cento, addirittura terzo partito dopo il Pd. Esce allo scoperto il solito, sanguigno assessore regionale Roberto Marcato, fedelissimo del governatore e nostalgico padano. “Mi piacciono la trazione Nord della Lega al Governo e al Parlamento: presidente della Camera, capigruppo e ministri sono tutti del Nord. Un ritorno alle origini. Ma c’è grande delusione nel non vedere in questo esecutivo nessun ministro veneto della Lega, noi che siamo il socio di maggioranza del partito e uno straordinario serbatoio di voti per esso. Oltre al fatto che il Veneto è una delle Regioni traino economico del Paese. Perché non ci sono leghisti veneti al Governo? Questo bisogna chiederlo a chi governa attualmente il partito in Veneto”.

La domanda è rivolta al deputato Alberto Stefani, commissario della Lega, uomo di Salvini, che è stato attaccato dalla base sia dopo le sconfitte elettorali di giugno a Verona e Padova che dopo il tracollo del 25 settembre. Marcato va però al di là degli identikit: “Credo che questo non sia più il tempo di chiedersi chi è il ministro, ma per cosa si fanno i progetti. Detto questo, o si arriva all’autonomia, o per quel che mi riguarda la Lega può tornare a casa anche domattina”. Frasi fotocopia per Alberto Villanova, portavoce dei gruppi Zaia Presidente e Lega-Liga Veneta in consiglio regionale: “Se ci fosse stato qualche veneto nella lista dei ministri saremmo stati più contenti. Ricordo che sono state fatte promesse chiare sull’autonomia e che quelle promesse ora vanno mantenute, altrimenti ne va della credibilità del centrodestra. Questa è l’ultima possibilità, c’è l’obbligo di dare concretezza alle promesse”. E ha affidato a un video il suo dissenso: “In questi cinque lunghi anni tutti i governi hanno fatto finta di non vedere e di non sentire la richiesta dei veneti”. In due occasioni, di quei governi faceva parte anche Salvini, prima con il governo giallo-verde, poi con Draghi. I leghisti veneti si sono consolati andando a Bassano, dove in piazza hanno srotolato un bandierone con il Leone di San Marco.

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