Energia come migranti: Bruxelles sembra passiva dinanzi ai desiderata turchi. L’hub di Erdogan confliggerebbe con il gasdotto Eastmed, che resta invece lo strumento più accreditato per la sicurezza dell’approvvigionamento energetico sia dell’area euromediterranea che di quella mediorientale

Gas sì, ma da chi? E soprattutto a quale prezzo geopolitico, oltre che meramente di cassa? L’annuncio del Presidente turco Recep Tayyip Erdogan di voler creare un hub del gas naturale in Turchia in accordo con Mosca non è una proposta commerciale come le altre, dal momento che vanno cerchiati in rosso almeno due elementi: chi potrebbe rivelarsi l’ennesimo cavallo di Troia in seno all’area euromediterranea e soprattutto cosa accadrebbe in seno agli equilibri dei giacimenti nel Mediterraneo orientale.

Senza dimenticare che il ministro del petrolio libico ha recentemente detto di valutare la costruzione di un nuovo gasdotto verso l’Italia, la Libia è un primo punto di osservazione/interpretazione del problema, perché di problema di tratta e non di magica soluzione al dossier energetico. Erdogan ha siglato un accordo relativo alla zona economica esclusiva con Tripoli che vìola le naturali leggi della geografia, perché disegna una linea verticale nel bel mezzo del mare nostrum ad escludendum. Ovvero dimenticando il fazzoletto di acque cretesi, che non è solo un’isola greca ma di uno stato membro dell’Ue e della Nato. La morbidezza con cui Bruxelles ha gestito quelle firme potrebbe essere foriera di altri problemi nell’intera area.

Il presidente turco ha appoggiato la proposta del suo omologo russo per un hub internazionale del gas in Turchia, ordinando al suo governo di presentare rapidamente piani di attuazione, subito dopo il vertice di Astana, con cui Putin prova a sventolare una leva energetica sull’Europa. Quando Erdogan dice apertamente che “non ci sarà alcuna attesa su questo problema”, aggiunge sale sulle ferite europee alle prese con le consuete barricate dei Paesi frugali sul tetto al prezzo da un lato (sarebbe il caso una volta per tutte di smussarle) e sull’ormai atavico ritardo con cui troppo spesso la Commissione europea gestisce le emergenze.

Il parallelo iniziale sui migranti siriani lo dimostra: si è deciso di dare 6 miliardi di euro al presidente turco (con cui non ha combattuto la mega inflazione interna) per tenere sul proprio suolo 5 milioni di profughi siriani, di fatto ghettizzati ed utilizzarli come clava geopolitica contro i suoi vicini. E’ in questo contesto che si inserisce il ragionamento sul gasdotto Eatsmed: i suoi detrattori osservano che è un’opera economicamente esosa e di lontana realizzazione. Dovrebbero però tener presente che le stesse critiche erano state mosse al Tap, che invece assicura all’Italia il 10% del suo fabbisogno di gas e che ha impedito che le bollette fossero ancora più care.

Inoltre il raddoppio infrastrutturale a Sulmona, di cui si discute ormai da anni sia in Abruzzo che nei ministeri romani, permetterebbe non solo di inviare più gas ma di armonizzare una dorsale adriatica del gas.

Per cui alla luce delle nuove scoperte nel Mediterraneo orientale, come Zohr, Nohr, Mercury e Kronos, l’hub di Erdogan confliggerebbe con il gasdotto Eastmed, che resta invece lo strumento più accreditato per la sicurezza dell’approvvigionamento energetico sia dell’area euromediterranea che di quella mediorientale.

@FDepalo

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