I suoi compagni hanno preferito uscire dal campo. Oramai non si trattava più di una partita di calcio. Dopo che un giocatore degli Allievi (under 16) del Cas Sacconago, quartiere di Busto Arsizio, centro in provincia di Varese, era stato chiamato “negretto” dall’allenatore avversario del Gallarate, non aveva più senso giocare. Così i compagni di squadra del 16enne di origine marocchina insultato hanno scelto di abbondare il campo prima del fischio finale, in segno di solidarietà.

“A quel punto la partita è passata decisamente in secondo piano – ha spiegato Massimo Di Cello, tecnico del Cas, al quotidiano La Prealpina – Abbiamo voluto dare un segnale perché reputiamo molto brutto ciò che è successo. Speriamo che la Federazione prenda provvedimenti”. Sul terreno di gioco l’arbitro ha scelto di espellere l’allenatore del Gallarate, dopo che la reazione offesa del ragazzo al suo insulto razzista aveva portato a un momento di tensione sulle panchine.

“Se qualcuno ha sbagliato – ha sostenuto il presidente del Gallarate – pagherà, ma questo verrà stabilito solo dal referto dell’arbitro e dai comunicati federali. Per noi conta questo. Il resto lascia il tempo che trova”. Il presidente non ha voluto entrare nel merito dell’epiteto che sarebbe stato proferito dall’allenatore del Gallarate: “Ribadisco che per noi vale quello che emergerà dai comunicati della Federazione. Se qualcuno ha sbagliato pagherà, chiunque egli sia. Per il resto, ognuno può dire quello che vuole. Noi ci atteniamo alle decisioni ufficiali“.

Di ufficiale, invece, il Cas aspetta solo le scuse dell’allenatore avversario. Gli aspetti legali non sono ritenuti importanti: “Ci interessa solo che il loro mister si scusi col nostro giocatore – sottolinea l’allenatore -. Per ora non abbiamo ricevuto scuse da parte di nessuno. Non ci interessa avere eventualmente la vittoria a tavolino, anzi se ci assegnassero i tre punti preferiremmo non accettarli”.

Quello che è successo a Gallarate riporta alla mente un’altra vicenda in cui il Varesotto è stato al centro di un caso di razzismo nel mondo del calcio. Anche in quel episodio i giocatori lasciarono il campo, ma quella volta, prima di farlo, uno di loro scagliò il pallone in tribuna con un gesto di stizza. Si trattava di Kevin-Prince Boateng e i compagni che abbandonarono il terreno di gioco con lui erano quelli del Milan, in occasione dell’amichevole contro il Pro Patria.

L’evidenza di come il razzismo sia ancora molto presente nello sport, e non solo in quello di provincia, è portata alla luce anche dal caso Egonu dei giorni scorsi. Lo sfogo della campionessa italiana del volley alla fine della finale per il terzo e quarto posto dei Mondiali del 15 ottobre contro gli Stati Uniti dimostra che il problema esiste a tutti i livelli. Nel video registrato a bordo campo Egonu dichiarava di voler abbandonare la maglia dell’Italia: ” “Mi hanno chiesto perché fossi italiana. Questa è la mia ultima partita in Nazionale”. La frustrazione evidenziata dalla opposto azzurra ha mobilitato l’intervento anche del presidente del consiglio uscente, Mario Draghi, che insieme ad altri personaggi pubblici dello sport italiano, e non solo, ha voluto mostrare solidarietà verso l’atleta. La reazione di Egonu davanti al razzismo è stata la stessa dei giovani compagni di squadra del Cas Sacconago: lasciare il campo, solo che questa volta era quello della Nazionale. Dalla Federazione pallavolo sperano che la campionessa possa ripensarci.

Immagine in evidenza d’archivio

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