di Giuseppe Caserta

Per spiegare la debacle del Pd alle ultime elezioni sono scesi in campo fior di analisti politici, giornalisti, sedicenti intellettuali di ogni ordine e grado fino all’immancabile attore o cantante, tutti uniti sotto un’unica parola d’ordine che ripetono come un mantra: “il partito deve tornare a parlare con la gente”.

Intendiamoci, questo è un male antico che vede le sue origini sin dai tempi di Enrico Berlinguer inventore del famigerato “compromesso storico” e conseguente apertura di un dialogo stretto con la Dc di Giulio Andreotti e Aldo Moro. Questa verbosità spasmodica della sinistra verso mondi a lei estranei ha preso piede sempre più stabilmente negli anni successivi, toccando vette inesplorate grazie al kennediano Walter Veltroni, all’ecumenico Romano Prodi fino ad arrivare a Matteo Renzi che ha messo il sigillo ufficiale a questa logorrea politica inventando per il Pd l’ossimoro perfetto, ovvero il concetto di Partito-Nazione, cioè un partito che “parla” con tutto l’elettorato indistintamente, dimenticando che un partito è tale proprio perché rappresenta una “parte” o, usando un’espressione purtroppo in disuso, una classe sociale di riferimento.

Dietro questo atteggiamento non c’è la convinzione che non esista più una società divisa per classi, in quanto sarebbe negare una realtà sotto gli occhi di tutti e di cui innumerevoli studi sociologici sottolineano l’aumento in termini di disuguaglianze; il problema vero è la negazione, oramai cementificata nella sinistra italiana, che in una società divisa per classi possa esistere una trasversale e pacifica comunanza d’interessi, raggiungibile tramite alchimie politiche che hanno come solo risultato quello di partorire governi tecnici, di unità nazionale, d’emergenza o che dir si voglia.

Ecco che allora, in virtù della messa in soffitta del concetto di “lotta di classe” a favore di un “compromesso di classe”, la sinistra ha finito con il concentrare tutte le sue energie nella perenne ricerca di mediazioni al ribasso.

Così, se da un lato strizza l’occhio al suo storico elettorato tramite la foglia di fico dei diritti civili buona per tutte le stagioni e di inutili proclami sull’antifascismo, dall’altro parla e si accorda con quella parte di società che, almeno sulla carta, dovrebbe essere quella da avversare.

In virtù di questo strabismo politico, tra una marcia in sostegno delle manifestazioni in Iran e uno striscione contro l’omofobia, sono stati accettati, se non addirittura promossi in prima persona, interventi come l’abolizione dell’articolo 18, l’introduzione dei fondi pensione, la legge Fornero, le detassazioni per le imprese, i finanziamenti alle scuole private o, storia di queste ultime settimane, la mancata introduzione del reddito minimo garantito, tutte manovre giustificate e vendute al proprio popolo come necessarie per garantire un non ben definito benessere generale – che poi, come la storia ci insegna, è quello di coloro con cui il Pd ha sempre amato di più parlare.

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