Un tecnico agli Interni (e forse anche agli Esteri), un leghista (ma non salviniano) all’Economia, un leghista salviniano (anzi, proprio Salvini) allo Sviluppo economico, un forzista alla Giustizia. La ridda dei nomi quotati dai retroscena disegna un quadro in cui Giorgia Meloni concederebbe molte, moltissime caselle di peso del governo ai partiti alleati. E non terrebbe per Fratelli d’Italia (o almeno non direttamente) alcun dicastero di prima fascia, a condizione che l’indirizzo politico del governo – affidato a lei in quanto presidente del Consiglio – non venga messo in discussione da Lega e Forza Italia. In questo senso la maggiore novità delle ultime ore è l’ipotesi che il nuovo ministro dell’Economia non sia un tecnico d’area (finora, d’altra parte, Meloni ha ricevuto soltanto dei “no”) ma un politico a tutti gli effetti, Giancarlo Giorgetti, leghista sui generis vicinissimo al premier uscente Mario Draghi e simbolo dell’ala “istituzionale” del partito. Una soluzione che da un lato salva le apparenze – al Carroccio andrebbe il ministero più importante di tutti – ma dall’altro suona come una sfida a Salvini, che con Giorgetti ha ben poco da spartire e in questo modo si troverebbe costretto a rinunciare a una poltrona importante per uno dei suoi.

Dal canto proprio, il segretario leghista ha rinunciato da tempo al sogno di tornare al Viminale e sembra suggerire di poter essere lui a prendere il posto di Giorgetti allo Sviluppo economico: all’Italia “serve anche il nucleare, e conto di riuscire ad essere al governo in una posizione che mi permetta di riportare l’Italia nel futuro, perché il nucleare significa energia pulita, sicura e bollette della luce meno care”, ha detto in diretta su TikTok. Ma siccome non può accontentarsi di un ruolo meno importante di quello del suo rivale interno, è quasi scontato che avrà anche l’incarico di vicepremier. E agli Interni? Il profilo più accreditato è quello di un tecnico, il prefetto di Roma Matteo Piantedosi, nome graditissimo a Salvini, di cui è stato capo di gabinetto. Se però il Carroccio la spuntasse per uno dei suoi si tratterebbe di Giulia Bongiorno, già ministra della Pubblica amministrazione nel primo governo Conte. Oltre al Mise, i posti “opzionati” dalla Lega nel Consiglio federale di inzio ottobre erano l’Agricoltura, le Riforme e le Infrastrutture. Ma poi si è aggiunta l’opa sul ministero della Famiglia (a cui si vorrebbe aggiungere il riferimento alla “Natalità”) e da ultimo Salvini ha fatto capire che punta a fare proprio anche il dicastero dell’Università e della Ricerca (“Per riaprire le porte degli atenei al merito”).

Poi ci sono le pretese di Forza Italia. La più importante è senza dubbio il ministero della Giustizia, su cui Silvio Berlusconi sogna di rimettere le mani dal 2011 e probabilmente verrà accontentato. I nomi in pole sono due: la presidente del Senato uscente, Maria Elisabetta Alberti Casellati, e l’attuale sottosegretario alla Giustizia Francesco Paolo Sisto. Entrambi avvocati, entrambi berlusconiani di ferro: Sisto, da penalista, ha rappresentato l’ex premier anche nelle udienze del primo processo Ruby. A favore di Casellati giocano gli equilibri interni al partito: difficile non darle un’altra poltrona di rilievo, dopo il più alto scranno di palazzo Madama. Ma paradossalmente Sisto è considerato il nome più “istituzionale” tra i due, per le sue doti di mediazione, l’esperienza in politica giudiziaria e la discreta stima di cui gode anche tra i magistrati. Lo scoglio maggiore per il partito azzurro, come noto, è invece rappresentato dall’affaire Licia Ronzulli, la fedelissima che Berlusconi vuole categoricamente in un ministero di peso, ma a cui Meloni si rifiuta di affidare la Salute: il bivio è tra l’Istruzione (in alternativa ad Anna Maria Bernini) e il Turismo. A Fi potrebbero andare anche gli Esteri con il coordinatore Antonio Tajani (forte dell’esperienza da presidente dell’Eurocamera): in alternativa la Farnesina sarebbe destinata a un altro tecnico d’area, l’ambasciatore Giulio Terzi di Sant’Agata, che ha già ricoperto lo stesso incarico nel governo Monti.

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