Mentre l’Unione europea e gli Stati Uniti sono concentrati sulla guerra in Ucraina, il presidente turco Recep Tayyip Erdogan continua a rinsaldare la sua presa sull’Africa e in particolare sulla Libia. Alcuni giorni fa una folta delegazione composta dai ministri della Difesa, degli Esteri, dell’Energia, del Commercio e dal responsabile per la comunicazione del presidente si è recata a Tripoli per siglare due nuovi memorandum d’intesa con il governo di Abdul Hamid Dbeibeh.

Secondo quanto previsto da questi documenti, la Turchia ha diritto a esplorare le acque libiche e il territorio sotto il controllo del Governo di unità nazionale (GNU) nato sotto l’egida dell’Onu e di sfruttare insieme alle compagnie libiche i nuovi giacimenti. Ma l’accordo, stando ad alcune indiscrezioni, prevede anche che le aziende turche si occupino della realizzazione di impianti di raffinazione così come del trasporto dell’energia in Turchia e nei mercati terzi tramite gasdotti e oleodotti già esistenti o di prossima costruzione. In questo modo, Ankara si appresta a prendere il controllo delle risorse di una parte della Libia, rafforzando il sogno del presidente Erdogan di una Turchia nuovo hub regionale dell’energia.

I memorandum da poco siglati con il premier Dbeibeh, il cui incarico è ufficialmente terminato a dicembre 2021, fanno tra l’altro seguito a quello firmato nel 2019 per la delimitazione dei confini marittimi tra Libia e Turchia e che ha permesso a entrambi i Paesi di estendere le proprie zone economiche esclusive a danno di Grecia, Cipro ed Egitto. Un accordo a suo tempo contestato dall’Onu e che aveva contribuito già allora ad alzare la tensione in quell’area del Mediterraneo in cui si scontrano gli interessi di Atene, Nicosia e Ankara. Una tensione salita ulteriormente dopo la firma delle intese raggiunte a inizio ottobre tra la Turchia e il governo di Tripoli.

L’Onu ha per primo condannato i nuovi memorandum e ha ricordato che il GNU non è autorizzato a firmare accordi vincolanti nel lungo periodo per non limitare l’operato del governo che dovrebbe formarsi dopo le prossime elezioni, la cui data resta però ancora incerta. Parole di condanna sono giunte anche dall’Unione europea che ha ricordato come già l’accordo del 2019 violi i diritti sovrani di Stati terzi e il diritto del mare.

Ma per il premier di Tripoli il sostegno della Turchia è più importante di quello dell’Ue o di qualsiasi altro Paese che si affaccia sul Mediterraneo. Dbeibeh ha bisogno dell’appoggio non solo diplomatico ma anche militare di Ankara per restare al potere ed evitare di essere rovesciato con la forza da Fathi Bashaga, uomo scelto come premier dal Parlamento di Tobruk e insediatosi a Sirte in attesa di prendere ufficialmente il potere. Bashaga è stato insignito della carica di primo ministro a dicembre a seguito delle mancate elezioni e dello scadere del mandato di Dbeibeh, considerato dai parlamentari della Cirenaica un premier oramai illegittimo dopo le dimissioni annunciate per potersi candidare a delle elezioni che, alla fine, non si sono mai tenute. Ad evitare la caduta del leader tripolino fino a oggi è stato proprio l’appoggio offertogli dalla Turchia, decisivo anche durante gli scontri scoppiati a fine agosto e conclusisi con il ritiro delle forze fedeli a Bashaga e dirette inizialmente contro Tripoli. Stando a diverse indiscrezioni, a mettere fine alle ostilità sarebbe stato proprio l’impiego da parte delle forze filo-Dbeibah dei droni turchi e la condanna giunta dalla Turchia, che ha più volte ricordato come Tripoli sia considerata una linea rossa da non superare.

Ma il premier della Tripolitania deve fare i conti anche con alcuni malumori interni, oltre che con le rimostranze che arrivano dalla Cirenaica. Alla vigilia dell’incontro tra la delegazione turca e quella di Tripoli, il ministro del Gas e del Petrolio ha reso noto come alcune sua competenze fossero state improvvisamente affidate da Dbeibeh alla titolare del dicastero degli Esteri per poter siglare degli accori da lui ritenuti svantaggiosi per il Paese. Un pessimo segnale per un governo la cui legittimità è messa sempre più spesso in discussione e che in questo caso non può nemmeno fare affidamento sull’appoggio dell’Onu, da cui il suo stesso potere in teoria deriva.

Ad opporsi ai nuovi memorandum sono anche Grecia ed Egitto, entrambi già critici nei confronti dell’accordo raggiunto nel 2019 sulla delimitazione dei confini marittimi. Atene e Il Cairo temono che i loro diritti sovrani nel Mediterraneo vengano nuovamente violati da Ankara e Tripoli e hanno pertanto annunciato un incontro per discutere sulle prossime mosse da compiere per proteggere i loro interessi. Come sottolineato dal ministro degli Esteri greco, qualsiasi implementazione dei memorandum sarà considerata illegale e avrà delle conseguenze sia nelle relazioni bilaterali tra Atene e Ankara che a livello europeo ed atlantico, essendo entrambi i Paesi parte della Nato. Per Nikos Dendias quindi, il comportamento della Turchia continua a destabilizzare il Mediterraneo e a minare gli interessi della Grecia, che vede tra l’altro contestata la sua sovranità su alcune isole dell’Egeo.

Anche l’Egitto teme gli effetti del memorandum nel mare nostrum, ma a preoccupare Abdel Fattah al-Sisi è anche il possibile indebolimento del fronte della Cirenaica da lui sostenuto e il conseguente rafforzamento della Turchia nello scacchiere libico. Un quadro che dovrebbe allarmare anche l’Italia, sempre più estromessa dal Paese nordafricano e che in futuro potrebbe trovarsi a trattare con Ankara per avere accesso al mercato energetico della Libia, maggiormente rilevante nel momento in cui gli approvvigionamenti dalla Russia sono ridotti agli sgoccioli.

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