L’ultima moda dei pagamenti elettronici via app si chiama Buy now, pay later: compri subito, pagherai in più rate ma senza interessi salvo quelli (eventuali) di mora. Secondo un report della Fidelity National Information Services, una società di servizi finanziari, nel 2021 l’8,1% delle transazioni di e-commerce in Europa è avvenuto con questo metodo, ma secondo gli analisti fintech la percentuale è destinata a salire nei prossimi anni. Le caratteristiche sono la velocità, in generale l’assenza o quasi di verifiche sulla storia creditizia del consumatore e un’interfaccia intuitiva. In Italia il lancio di questi servizi è stato più lento. E restano dubbi riguardo alle norme che li regolano, all’inquadramento giuridico del servizio, ai controlli e all’impatto sui risparmi. Il rischio altrimenti è una totale deregulation con il pretesto dell’innovazione.

Secondo un’indagine Pwc, in Europa sono già attivi 41 player specializzati. Il loro boom è trainato dagli acquisti online, ma sempre più commercianti al dettaglio scelgono queste soluzioni di pagamento per gli acquisti in negozio. Tra le app che guadagnano terreno in Italia c’è Scalapay, una startup “unicorno” (cioè valutata oltre 1 miliardo di dollari) che, in cambio di una percentuale (di solito piccola) sull’importo dell’acquisto, “paga immediatamente al venditore tutto l’importo dell’ordine” e garantisce una manleva dal rischio di frodi e mancati pagamenti. All’acquirente non resta che pagare un terzo del prezzo sul momento, mentre le successive due rate gli verranno addebitate con cadenza mensile. Secondo Eletto Prodotto dell’Anno, il “bollino” con il quale i consumatori premiano l’innovazione e la soddisfazione associate a un certo prodotto, sono oltre 3mila i brand “partner” e 5mila i negozi fisici che hanno scelto quest’app.

Nella galassia del buy now pay later non tutte le app sono uguali però. C’è chi, come il colosso svedese Klarna, è dotato di licenza bancaria ed è iscritto all’Albo degli intermediari finanziari. Apple, che ha lanciato Apple Pay Later, ha annunciato che si affiderà ad Apple Financing LLC, una sussidiaria interna per ora priva di licenza bancaria negli Usa. PayPal l’anno scorso ha lanciato Paga in 3 rate, che consente acquisti rateali da 30 a 2mila euro. Tra le operazioni che l’azienda lussemburghese è autorizzata a fare in Italia ci sono sia l’erogazione di prestiti, sia l’emissione e gestione di mezzi di pagamento.

A diventare importante perciò è l’inquadramento giuridico del servizio, dal quale derivano conseguenze importanti in materia di obblighi e vigilanza. Infatti oggi in Europa non esistono norme ad hoc. Qual è la causa del contratto? Quale l’oggetto? Chi sono i contraenti?, sono le prime domande che si pone un giurista esperto di fintech come Luciano Quattrocchio, docente di Diritto bancario assicurativo e Diritto dei mercati e degli intermediari finanziari all’Università di Torino. Secondo lui i Bnpl si trovano al crocevia fra due fattispecie (ma una terza occhieggia dietro l’angolo): il prestito (finanziamento) indiretto e l’acquisto di un credito. Se abbracciamo la prima tesi dobbiamo pensare al consumatore come a un mutuatario che ripaga il suo debito a rate, attingendo a una carta di credito. In nessun caso possiamo parlare di credito al consumo: un documento della Banca d’Italia afferma che questo implica l’onerosità, mentre nel nostro caso a pagare una percentuale è solo il venditore, in cambio dell’accredito immediato del corrispettivo.

Se sposiamo la seconda tesi, l’azienda titolare dell’app acquista un credito dal venditore dietro un compenso (la percentuale sull’acquisto) e poi lo riscuote dall’acquirente-debitore, a rate. Questa soluzione avvicina i Bnpl ai servizi d’incasso, quando cioè una banca riscuote per conto del cliente i crediti che questi vanta nei confronti di terzi. La terza opzione guarda al factoring, un contratto in forza del quale il factor acquista pacchetti di crediti da un’impresa, facendosi carico della loro riscossione. Come il factor, anche le app anticipano il prezzo dei crediti e si assumono il rischio di insolvenza. Non solo: il creditore diventa a tutti gli effetti l’app e non più il venditore. Quest’attività, come anche il prestito indiretto, può essere svolta soltanto da banche o intermediari finanziari presenti nell’apposito Albo di Bankitalia. Diverso è il caso della cessione di credito, che può essere svolta anche da altri soggetti. L’iscrizione all’Albo del resto non è solo un obbligo e non è fine a se stesso: gli iscritti hanno accesso alla Centrale dei Rischi e grazie a quei dati possono stabilire se chi dispone le transazioni è un pagatore affidabile o meno.

Questa rinuncia però non sembra turbare i sonni dei titolari dell’app italiana. In una recente intervista il fondatore di Scalapay ha dichiarato che il tasso di insolvenza è irrisorio, perché si parla di “piccole cifre”. Tuttavia nella sezione FAQ l’azienda nega che ci sia un tetto alle transazioni che si possono effettuare via app e l’unica cautela sembra perciò essere un’iniziale limitazione alla possibilità di fare acquisti, destinata a decadere man mano che il consumatore si accredita come buon pagatore. In ogni caso, rassicura l’azienda, la possibilità di usare l’app “non dipende dalla disponibilità economica della loro (dei consumatori, ndr) carta”. D’altro canto, se si considera il volume di acquisti (l’app conta oltre 100mila download) anziché l’importo delle singole transazioni, va da sé che non parliamo più di “piccole cifre”. Nonostante le faraoniche risorse su cui può contare, infatti, la concorrente Apple metterà un tetto alle transazioni dopo una verifica della storia creditizia degli utenti.

Nel Regno Unito la Financial Conduct Authority (FCA) ha rilevato un “rischio di sovraindebitamento” dei consumatori che utilizzano queste app, ma anche dei rischi per gli operatori. Del resto questi ultimi sono concordi nel segnalare miglioramenti nelle performance dei venditori che si affidano ai servizi Bnpl, sia per quanto riguarda il “carrello medio”, sia il “tasso di conversione”, cioè il numero di utenti che porta a termine una transazione.

Secondo un’indagine di Trc Market research il 76% dei consumatori italiani è più propenso a fare acquisti online se può pagare a rate, mentre il 63% accetta di concludere la transazione solo a condizione di ottenere una dilazione. Questo dato sale al 68% tra millennials e giovani della “Generazione Z”. Un successo commerciale, indubbiamente, realizzato grazie a consumatori sempre più voraci e disposti a spendere “allo scoperto”. Secondo altri studi citati da Simone Suriano su HuffPost, infatti, chi usa i metodi bnpl tende a dar fondo al portafoglio senza tenere conto della propria disponibilità economica, andando perciò incontro a ritardi nei pagamenti (con i relativi interessi). Pochi giorni fa l’US Consumer Financial Protection Bureau (CFPB) ha annunciato che introdurrà delle norme per assicurare agli utenti di questi servizi nuove tutele simili a quelle che accompagnano il credito tradizionale. L’authority si concentrerà inoltre su come vengono raccolti e monetizzati i dati, sulla durata dei “prestiti” e sui rischi d’indebitamento.

Senza scomodare chi come Scott Galloway, professore alla NYU Stern School of Business, segnala il rischio di una nuova bolla, nel recinto di casa nostra la rinuncia a sapere se l’utente è un pagatore affidabile è quantomeno audace. Senza contare che la “misurazione accurata dei rischi” (che nel caso degli intermediari iscritti all’Albo è affidata alla vigilanza di Bankitalia) in questi casi è appannaggio dell’azienda stessa. “Mi auguro che ci sia un intervento normativo – conclude Quattrocchio –. Se è vero quel che dichiarano le app, il rischio a mio avviso è più per i gestori che per i consumatori”.

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