A poco più di due mesi dal fermo e dalla convalida del gip, Alessia Pifferi, la 37enne accusata di omicidio volontario aggravato per aver abbandonato per 6 giorni in casa la figlia Diana morta di stenti, “anche dopo l’ingresso in carcere, come attestano le relazioni del Servizio di psichiatria interna” di San Vittore “si è sempre dimostrata consapevole, orientata e adeguata, nonché in grado di iniziare un percorso, nei colloqui psicologici periodici di monitoraggio, di narrazione ed elaborazione del proprio vissuto affettivo ed emotivo”. È la valutazione del giudice per le indagini preliminari di Milano, Fabrizio Filice, motivando il provvedimento con cui ha respinto la seconda istanza della difesa che chiedeva di far accedere esperti in carcere per una consulenza neuroscientifica. Il giudice fornisce questi elementi nella parte in cui spiega che la stessa difesa non voleva effettuare un’analisi sulla capacità o meno di intendere e di volere della donna. Una “prospettiva” che “allo stato non si aggancerebbe ad alcun elemento fattuale”, anche perché Pifferi non ha alcuna “storia di disagio psichico” nel suo passato.

I difensori puntavano su un particolare accertamento “neuroscientifico-cognitivo” per “cercare di sondare il funzionamento strettamente cognitivo dell’indagata”. E con la “espressa finalità”, scrive il gip, da parte della difesa di “incidere sul processo interpretativo del giudice”, che dovrà valutare nel procedimento l’eventuale dolo dell’azione commessa. Il giudice chiarisce che ci sono “suggestive adesioni in campo accademico” sul fronte dell’utilizzo delle neuroscienze, ma non si può permettere che una consulenza di questo tipo entri nel processo senza contradditorio. Il gip, comunque, afferma che in teoria non si può escludere “una possibile utilità della prova neuroscientifica come supporto al processo decisionale del giudice”, ma dovrà essere semmai proprio il giudice a disporre una perizia sul punto, se la riterrà necessaria.

Anche alla seconda istanza, discussa in udienza il 28 settembre, si erano opposti i pm Francesco De Tommasi e Rosaria Stagnaro, titolari dell’inchiesta condotta dalla Squadra mobile. Gli avvocati Luca D’Auria e Solange Marchignoli hanno depositato ampie memorie a supporto e ritengono che la consulenza non riguarderebbe valutazioni sulla capacità di intendere e di volere della donna al momento del fatto, ma punterebbe a sondare il cosiddetto ‘elemento soggettivo del reato’ ossia il tipo di dolo o eventualmente di colpa (ipotesi meno grave) nei comportamenti avuti. Un’analisi di questo genere, scrive il gip, “potrebbe condizionare, una volta veicolata nel processo con una relazione” della difesa, il “necessario processo interpretativo del giudice, pretendendo di ancorarlo a un dato ‘scientifico’, piuttosto che ad una “valutazione” della “intenzione” della donna, che ha agito in quel modo, “tratta dai dati di manifestazione esterna della sua condotta”.

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