Due giorni dopo le elezioni, mentre web, radio e carta stampata e televisione erano ancora nel pieno di opinioni, analisi, titoli urlati e annunci catastrofisti, un evento che ha avuto luogo alla Camera il 27 settembre è probabilmente sfuggito ai più.

In una conferenza stampa convocata in fretta e furia dagli eletti all’estero in Sud America, si è parlato dei presunti brogli delle ultime elezioni. Già, anche se di scarso rilievo per la stampa italiana, dopotutto riguarda appena 12 parlamentari in totale, il tema non era mica da poco: si denunciavano brogli e si parlava di schede contraffatte, certificati falsi, buste che vanno a spasso per il Sud America e un clima generale che fa a botte con la maniacale solennità alla quale siamo abituati nel procedimento di voto in Italia. “Questa è una situazione da codice penale” diceva Gigi Proietti in Febbre da Cavallo e questi che fanno? Si riuniscono a due giorni dal voto, in un’aula deserta della Camera dei Deputati, per raccontare con non calanche qualcosa che in un paese qualsiasi farebbe chiedere l’annullamento immediato delle elezioni all’estero.

Il neo eletto deputato Fabio Porta, in arrivo dal Senato, l’ex senatore argentino Ricardo Merlo, e il neo eletto – sempre in Argentina – del suo partito Maie, Alejandro Borghese, raccontano di aver individuato e denunciate la presenza di 25 mila schede false nei circoscrizioni consolari argentine di Rosario e La Plata. Roba da far tremare i polsi, se si pensa che 2 aventi diritto su 3 dei 5 milioni di italiani all’estero non hanno votato.

Bene la denuncia ma a quel punto manca un colpevole e dalle loro parole trasuda una certa difesa degli equilibri dell’Italia in Sud America, dei quali ben poco sappiamo dall’altra parte del mondo: nessuno ha colpe, secondo Merlo. O almeno, in presenza di fatti gravissimi come questi, l’ex senador si sbriga ad assolvere il Consolato, l’Ambasciata, ovviamente i presenti alla conferenza stampa e in un certo senso anche la lista avversaria, Usei, e l’ex parlamentare Sangregorio, “votati” nei plichi falsi: Sangregorio dice di essere stato vittima di una macchinazione contro di lui e magari ha ragione ma possibile che nessuno abbia colpe?

Eppure quelle schede taroccate, che sembrano soldi del Monopoli, con la dicitura “diputado” in spagnolo e il colore diverso rispetto alle nostre, qualcuno le ha stampate. No, non deve più succedere, dice Merlo, che dopo l’esperienza da sottosegretario abbandona il Parlamento italiano. Ma possibile mai che nessuno degli eletti sudamericani abbia la minima idea di chi abbia falsificato 25mila schede? Ma soprattutto: possibile mai che non vedano che colabrodo sia il sistema che li ha portati a Roma?

La circoscrizione estero non è in discussione e il responsabile Pd per gli italiani all’estero, Eugenio Marino, ha alzato le barricate contro gli ostili al voto per corrispondenza, liquidando come “sciocchezza” la tesi diffusa che la ritiene incostituzionale. Dice Marino: vi pare che uno strumento in piedi da 20 anni possa essere incostituzionale? (A dire il vero, la Consulta, investita in via incidentale dal quesito nel 2018, boccio la questione di legittimità solo per vizi formali, senza entrare nel merito).

Facendo un bilancio della tornata elettorale fuori dall’Italia, sono diversi gli esposti presentati: in Nord America, in Sud America e in Svizzera e si sollevano sospetti anche sull’Australia. C’è da sorprendersi? Probabilmente non c’è affatto da sorprendersi. Ad ogni elezione, da quando è stata istituita la circoscrizione estero, finisce cosi: schede vendute, schede sparite, schede sostituite, elenchi pieni di centenari e di elettori deceduti, plichi mai arrivati e a piede libero, voti di scambio e con il caso Di Girolamo, addirittura voti veicolati dalla ‘ndrangheta hanno fatto il loro ingresso nella sgangherata ventennale storia della Circoscrizione estero.

D’altronde la posta in gioco alta, il taglio dei parlamentari che ha ristretto la torta e la possibilita’ di taroccare il voto troppo facile: pallottoliere alla mani, i casi anomali, considerando il numero esiguo di seggi in palio, sono davvero troppi. E tutto questo avviene in quella terra di mezzo a cavallo di più legislazioni, senza un vero e proprio controllo giuridico e democratico su quello che accade oltre confine: una circoscrizione virtuale che copre dozzine di frontiere e di paesi si è rivelata una piccola catastrofe. Piccola perché i parlamentari della diaspora italiana sono appena il 2% degli eletti ma i casini del loro universo parallelo, li fanno sembrare 10 volte di più.

Questa denuncia corale di un fatto spaventoso per la democrazia, senza voler indicare responsabilità è piuttosto singolare. Va fatta qualche modifica ma il sistema è sano, dice anche Fabio Porta, una vittima di questo meccanismo che neanche si sogna di pronunciare la parola “abolizione”: eppure, lui è subentrato a legislatura terminata, solo dopo una lunga battaglia legale: il Senato ha impiegato 3 anni per dichiarare decaduto Adriano Cario, eletto in Argentina, manco a dirlo con molti voti taroccati. Il perito calligrafico della procura della Repubblica di Roma dichiaro’ che “esaminate 125 schede di una sezione e 100 di un’altra, non vi sono mani differenti per ogni scheda, bensì la presenza di gruppi di schede riconducibili a una stessa mano“. Ancora brogli e un senatore che ha votato leggi, presentato mozioni e percepito un lauto stipendio per 4 anni e mezzo, pur essendo stato eletto con una truffa.

Almeno così ha messo nero su bianco l’aula del Senato. Ecco, l’ostinazione nel voler difendere questo sistema diabolico, che puzza dalla testa, è assolutamente incomprensibile: non esiste una vera e propria campagna elettorale, non esistono controlli democratici, si usano le preferenze multiple (che avevamo abolito per referendum nel ’93, proprio per contrastare il voto di scambio) e i deputati non hanno giurisdizione nei territori che li eleggono. La conferenza stampa lampo, a Camere non ancora insediate, sapeva molto di “mani avanti” perché la misura è colma e le voci critiche inPparlamento con il voto all’estero, potrebbero dire “ora basta”. E magari consegnare alla storia questo controverso esperimento.

Molti paesi hanno rappresentanze della diaspora ma nessun paese occidentale ne ha cosi tanti e d’altronde, viene da chiedersi: serve un deputato per far funzionare i servizi consolari? O un senatore per migliorare la vita degli italiani all’estero? E i Comites, quelle 92 assemblee che rappresentano gli italiani in alcuni paesi con grandi comunità o il Consiglio Generale degli Italiani all’Estero, cosa ci stanno a fare? E possiamo ancora parlare di “comunità italiana’” ai tempi dell’alta mobilità globale?

Gli italiani all’estero che hanno votato questa volta sono poco più del 26% degli aventi diritto, solo 1 su 4, il minimo storico da quando esiste la circoscrizione. E le percentuali salgono a livelli dignitosi, arrivando al 50% solo laddove si trova la più grande comunità di italiani che non ha mai visto il suo paese o che non lo vede da tempo immemore: gente in Brasile con doppio passaporto oppure vecchie generazioni trapiantate in Argentina o Uruguay, che l’Italia la ricordano a malapena o la conoscono dalle foto dei bisnonni. Chiaro il paradosso? Agli italiani della nuova mobilità, soprattutto in Europa, dove vivono quasi 2/3 dei residenti all’Estero, non può importare di meno di votare per il paese che hanno lasciato; oriundi e anziani delle vecchie ondate migratorie stanziali sembrano gli unici interessati. O forse gli unici che l’antistorico associazionismo all’estero riesce ad intercettare.

E mentre ci preoccupiamo per il diritto di voto di chi ha bisogno di Google Translate per leggere le istruzioni del plico, e magari il nostro paese non l’ha manco mai visto, a connazionali di origine camerunese, marocchina o albanese, gente nata e cresciuta in Italia, viene negata persino la cittadinanza.

All’estero si parla ancora, genericamente, di “connazionali”, come se le generazioni della diaspora fossero tutte uguali e non, piuttosto, gruppi sociali con valori diversissimi, spesso antitetici. E cosi, l’impressione, è che i nostri rappresentanti non si vogliano pestare i piedi a vicenda e così, da un lato, denunciano una schifezza ma non fanno accenno ad un’altra, un caso clamoroso di questi giorni che riguarda proprio un esponente del partito di Merlo in Uruguay: mi riferisco al caso del deputato italo-uruguaiano al parlamento di Montevideo, Aldo Lamorte, anche – Consigliere del Comites Uruguay – e consigliere Cgie -Consiglio Generale degli Italiani all’Estero-, candidato per tre volte (e non eletto) nella circoscrizione estero ha avuto un’idea formidabile per questa campagna elettorale: realizzare un video tutorial in spagnolo per i social spiegando come si vota per il Maie. Molto bello. Unico problema: la scheda del video dimostrativo non era un fac simile ma proveniva da un plico vero, di un’ignara elettrice che non lo aveva mai ricevuto.

La storia l’ha tirata fuori il portale Gente d’Italia e, tanto per cambiare, anche questa è finita a carte bollate. Mentre gli onorevoli delocalizzati, e i loro partiti, sembrano impegnati soprattutto a montare barricate per garantire per tutta la legislatura il rispetto del principio “anche oggi la riforma del voto estero la facciamo domani“, sarebbe ora di affrontare seriamente il problema. Il voto dall’estero deve rimanere ma i candidati devono essere riportati in Italia, sotto i riflettori della società che devono rappresentare e all’interno di un perimetro giuridico e sociale dove siano pienamente responsabili.

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