di Stefano Briganti

Che la guerra dovrà essere lunga è ormai ufficializzato da più fonti, dal responsabile per le politiche estere Ue, Josep Borrell, dalla neo premier Uk Liz Truss, dal ministro ucraino Kuleba, dal responsabile del Pentagono Austin Lloyd, da Zelensky e da Biden. Le speranze di un accordo sono sfumate, tant’è che recentemente Zelensky ha sciolto la delegazione ucraina per le trattative mettendo una pietra tombale sulle future negoziazioni di pace.

Non ci sono mai stati detti i veri motivi del repentino cambio di rotta di Kiev dopo Istanbul e perciò le vere ragioni della chiusura. È altrettanto ufficiale che le sanzioni non stanno funzionando come previsto (almeno nel medio periodo), cosa che viene ormai dichiarata da più parti in Usa (Cnn, Wp) e certificata da Economist, Jp Morgan, S&P e altri osservatori economici di questo calibro.

La Banca Centrale russa prevede una flessione del 4% del Pil nel 2022 (contro i 16 previsti dagli “Alleati” a marzo) e, se la guerra dovesse continuare, sarà del -11% nel 2023 e del -9,4% nel 2024. Neppure il default artificiale creato a maggio dagli Usa sembra impattare Mosca come invece ci era stato venduto: infatti non se ne parla più.

La Russia sta adattando il suo modello economico alle undicimila sanzioni occidentali e non solo guarda a Oriente, verso la Cina e l’India e il Pakistan, per l’export delle sue fonti di energia fossili a prezzi più competitivi rispetto a quelli che pagherà la Ue a causa della sua politica di “diversificazione degli approvvigionamenti”; ma ha iniziato a non usare più il dollaro per le transazioni, bensì i rubli, gli yuan e le rupie. Questo permetterà a Cina e India di “comprare” meno dollari per i pagamenti e perciò essere meno vulnerabili a future potenziali sanzioni economiche americane del tipo congelamento fondi o impossibilità di pagare gli interessi dei prestiti contratti (vedi default artificiale creato per Mosca). Con le tensioni tra Cina e Usa, il pagamento in yuan dell’import russo è una garanzia per Pechino. Infine quando entrerà in funzione il Power Siberia 2 annunciato all’Eef di Vladivostok e ratificato da Putin e Xi Jinping a Samarcanda allo Sco (Shanghai Cooperation Organization) della scorsa settimana, la Russia nel 2030 potrà inviare in Cina fino a 180 miliardi di mc di gas all’anno ad un ottimo prezzo.

Ecco perché la Cina ha rigettato senza se e senza ma ogni proposta occidentale di price cap sulle fonti fossili russe. E’ impensabile che nessuno al mondo acquisterà più petrolio e gas russo, perché altrimenti si creerebbe un enorme “buco” nella produzione che oggi soddisfa la domanda globale (la Russia è il secondo produttore mondiale di fonti fossili). Buco che potrebbe essere riempito solo con nuove estrazioni, ovviamente impossibili. Ci sarà allora una sorta di “giro a tre”: paesi fuori “embargo” compreranno dalla Russia e poi rivenderanno a noi che salveremo la faccia dicendo che non compriamo più da Mosca.

Se la Russia reggerà gli effetti della flessione economica dei prossimi due-tre anni con la macchina bellica a regime (e probabilmente ci riuscirà), il conflitto in Ucraina continuerà ad oltranza almeno fino a quando il fiume di armi occidentali non avrà più sufficienti soldati ucraini per poterle usare, oppure le finanze occidentali non potranno più permettersi illimitati aiuti a Kiev. E’ una guerra di resistenza tra potenze e purtroppo l’Ucraina, agnello sacrificale e vaso di coccio tra vasi di ferro, ne farà le spese maggiori. Le speranze di pace sono appese a Cina e India che, sebbene non seguano l’orgia delle sanzioni occidentali e forniture di armi all’Ucraina e non condannino apertamente l’operato di Putin, lo pressano per raggiungere al più presto un accordo di pace. Cosa ribadita allo Sco di Samarcanda da Xi Jinping e da Modi. Se la stessa pressione venisse esercitata su Kiev dal blocco degli “Alleati” forse si arriverebbe ad una conclusione in tempi brevi. Ma purtroppo, ascoltando Biden, Truss e Ursula von der Leyen, così non è e sembra che non sarà.

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