Dopo oltre 20 anni di copertura delle perdite (12 miliardi di euro in tutto) e di sopportazione delle inefficienze di Alitalia e Ita, ancora non si vede una svolta che possa dare finalmente respiro alle finanze pubbliche. Non siamo ancora all’ultima puntata ma la scelta sembra pendere su Certares, un fondo di private equity che ha sede a New York che investe nei settori dei viaggi e del turismo ma fuori dal comparto dei trasporti. Il governo è dimissionario e tre sono ancora le fazioni in campo. Una che vorrebbe non vendere Ita Airwais (Meloni e altri politici e sindacalisti), compagnia nata proprio per essere venduta. Un’altra che vorrebbe una vera privatizzazione (lo Stato al di sotto del 20% delle azioni), il che coincide con la offerta di Msc e Lufthansa. L’ultima, quella della cordata Certares-Delta-Air France, che lascerebbe all’azionista pubblico il 45% di Ita e un maggiore controllo sul futuro dell’azienda, anche grazie a patti parasociali che attribuirebbero allo Stato la scelta del presidente del C.d.a.

Si tratta dell’ennesima puntata di una telenovela che ha visto Alitalia protagonista di spericolati salvataggi dai buchi di bilancio, di finte privatizzazioni (prima con Klm, poi con i capitani coraggiosi infine con Ethiad), di ristrutturazioni creative in cui la compagnia è stata sempre tenuta fuori da un’organica alleanza con altri vettori per evitare che le decisioni (acquisti, assunzioni e consulenze) fossero fuori dal controllo politico dei vari governi in carica. Che è regolarmente stato bacchettato dalla Commissione europea per i numerosi aiuti di Stato e i danni creati ai contribuenti che in tutti questi anni hanno sostenuto un’azienda inefficiente. Oltre al danno, non manca la beffa. La pessima gestione di Alitalia, costellata di ritardi e tariffe salate, ha consentito un facile ingresso nel nostro paese alle compagnie low cost, che si sono accaparrate sussidi pubblici (mascherati da co-marketing) da parte di regioni o comuni gestori dei tantissimi aeroporti italiani.

Con il risultato che anche in quelli dove si sviluppa un forte traffico (come Orio al Serio) la minaccia di Ryanair di abbandonare lo scalo, e quindi far crollare il traffico, le assicura comunque ricchi sussidi. Centinaia di migliaia di ore di cassa integrazione sono state erogate in questi decenni grazie a finte ristrutturazioni che servivano per tenere in vita un’azienda decotta e il consenso politico che le gravitava attorno. Alla fine l’Italia non ne è ancora uscita e il comparto del trasporto aereo, che negli anni pre-pandemia ha creato ricchezza in tutta Europa, resta in crisi e ha un generatore di ricchezza bassissimo sia in termini di Pil che di occupazione. Presto gli aerei di Ita, dopo il boom estivo che ha investito tutti i vettori, torneranno vuoti e oltre a nuovi costi genereranno anche gravi danni ambientali, con emissioni insopportabili se rapportati al modesto ruolo sociale del vettore nazionale, poiché occupa il 9% del mercato italiano e il 2% di quello europeo.

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