Il 29 agosto, dal suo blog, Beppe Grillo ha invocato il diritto di voto per i 16enni, ma non è la prima volta che il tema viene discusso. Esattamente come la proposta di legalizzare la cannabis, ogni anno rispunta fuori quella di abbassare l’età dell’elettorato attivo. I leader di ogni colore politico accolgono sempre con entusiasmo l’iniziativa. Nel 2008, la prima a parlarne è stata Giorgia Meloni, arrivando addirittura a proporre nel 2011 l’abbassamento dell’elettorato passivo: 18 anni per la Camera dei Deputati e 25 anni per il Senato della Repubblica. Nel mese di marzo dello scorso anno, in prossimità della sua elezione a segretario del Pd, Enrico Letta ha nuovamente tirato fuori il tema ponendolo come punto chiave del nuovo corso al Nazareno. Anche allora la classe politica ha omogeneamente espresso il suo favore nei confronti della proposta di riforma costituzionale. Tuttavia, come abbiamo visto, non si è andati oltre a qualche comunicato stampa.

Ed eccoci qua, in piena campagna elettorale per le politiche del 25 settembre, con Grillo che è tornato a ripescare la proposta dal cilindro dei buoni propositi che accumunano tutti i soggetti politici. Nel suo articolo, il fondatore del Movimento ha sostenuto che sia arrivato il tempo per i giovani di incidere sulle decisioni del presente, senza accomodarsi sulla locuzione abusata di “generazioni future”. Non potrei essere più d’accordo e ne ho scritto qualche giorno fa qui sul mio blog. Penso anche che i 16enni di oggi siano molto più informati di quanto non lo siano stati i nostri coetanei di qualche decennio fa. Sì, siamo pronti ad assumerci questa responsabilità.

Attenzione, però, a non sottovalutare l’alto tasso di astensionismo tra quei giovani che già hanno diritto di voto, ma ignorano la chiamata alle urne. C’è una generazione disinteressata alla politica da recuperare. Forse prima di pensare ad abbassare l‘età minima per accedere al seggio, dovremmo capire per quale motivo alla mia generazione non importa scegliere i propri rappresentanti in Parlamento. L’abbassamento dell’età per votare è secondario rispetto ai problemi che spingono migliaia di ragazzi a lasciare il proprio Paese per trovare fortuna altrove. Occorre ristabilire le condizioni affinché tutti abbiano la possibilità di avere un lavoro regolare, tutelato e retribuito adeguatamente.

Sono convinto che, al diritto di voto per i 16enni, i giovani che stanno terminando le scuole preferirebbero non dover pagare l’affitto di una stanza 700 euro per sganciarsi dal nucleo familiare. I miei coetanei preferirebbero concentrarsi sugli studi universitari piuttosto che chiudere i libri e infilarsi la tuta da rider per pagarsi gli studi. Siamo il Paese dei Neet, della disoccupazione, delle scuole fatiscenti, del non voto, dei giovani estromessi dai partiti, non siamo ascoltati e per chi governa non contiamo nulla. Non avrebbe più senso allora dare vita a politiche che portino alle urne chi già oggi ha il diritto di votare, ma sceglie di non farlo, sfiduciato da azioni politiche di gattopardiana memoria? Da anni, in Italia, “tutto cambia perché nulla cambi”.

*Attivista politico e Presidente de “La Giovane Roma”

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