Subissati da tragiche previsioni di razionamento e consigli sulla lavatrice, gli italiani scoprono che c’è un’industria energivora che non smette mai di lavorare: la burocrazia. E’ a questa, ad esempio, che si devono i decreti inattuati sulle rinnovabili che portano al colmo dei paradossi: l’inutilizzo di 17 terawattora di energia, pari a un quarto del fabbisogno industriale nazionale, prodotte dalle rinnovabili che lo Stato ha opzionato ma che non impiega proprio per mancanza di un decreto di secondo livello che spetterebbe al Ministero della Transizione Ecologica, quello che a dispetto del nome detiene il record delle leggi inattuate.

Una notizia che fa accapponare la pelle ai tanti imprenditori messi in ginocchio dalla bolletta energetica che in questi giorni si vedono recapitare addirittura richieste di anticipi e fidejussioni su quelle future. Questo “tesoretto” è stato opzionato dal Gse, il gestore dei servizi energetici controllato dal Mef, proprio per far fronte all’aumento incontrollato dei prezzi e alla carenza di gas, in attesa che l’Europa trovasse la quadra al famoso “tetto” contro le speculazioni in corso. L’operazione era scattata a marzo, alle prime avvisaglie dell’escalation, proprio per creare una “riserva” cui attingere in caso di crisi. Per altro al prezzo di 124 megawatt decisamente più convenienti dei 500 di oggi. Il governo immaginava già ad aprile di potervi attingere per dare respiro alle industrie che già avevano il dubbio se convenisse continuare a produrre o andare a scartamento ridotto visto che la bolletta energetica triplicata si mangiava gli utili. Ma non lo ha fatto. Lo aveva scritto nero su bianco nel “Decreto Aiuti” (art.16 bis), dando mandato al gestore di rastrellare “l’energia elettrica prodotta da impianti sul territorio nazionale stipulando contratti a lungo termine”. Ebbene quei 17 terawatt ora ci sono ma manca il decreto che disciplina criteri di attribuzione (“modalità le modalità con le quali il GSE può cedere l’energia nella sua disponibilità”) tra le varie industrie/settori che sono considerati strategici; questione tanto poco chiara che la stessa Confindustria in questi giorni ha attivato una specie di mega-sondaggio tra gli iscritti per saper da loro quali sono i settori e gli impianti irrinunciabili da sostenere. Ma d’altro canto il “tesoretto” potrebbe essere usato per il mercato residenziale, per dare sollievo alle famiglie per capirci, col Gse che prende questa “eccedenza” al prezzo corrente per finanziare gli acquisti di gas, di fatto compensando i 4 miliardi di euro già spesi ed erogati dal Tesoro. la notizia, anticipata la scorsa settimana a ilfattoquotidiano.it da Giovanni D’Anna di Confindustria ceramica (“Manca il decreto ministeriale con i prezzi di vendita del gas prodotto in Italia che sarà acquistato dal Gse e ceduto ai gasivori”) è stata oggi ripresa dal Corriere. Secondo il quotidiano di via Solferino sarebbe peraltro un’operazione “a finanza invariata”, ma che darebbe respiro allo Stato già sotto pressione per il caro bollette, tra oneri di sistema azzerati e crediti di imposta alle imprese sempre più pesanti da sostenere.

Stesso discorso per il gas. Il gestore nazionale era stato incaricato di bussare anche alle porte di titolari di concessioni per estrazione in Italia per sondare la disponibilità a venderlo agli “energivori” a prezzi sostenibili, comprandolo a 25 centesimi al cubo in luogo degli attuali 3,5 euro di mercato. Sempre in cambio di contratti a lungo termine. In ballo c’erano 2,2 miliardi di metri cubi , ma i bandi del Gse sono stati emanati solo tra luglio e agosto e non ci saranno esiti prima di settembre, quando eran previsti per maggio. Poi sei mesi per gli iter autorizzativi… Insomma, i tempi lunghi della burocrazia mandano un provvedimento d’urgenza in tribuna, tra gli spalti dove siederà il prossimo governo. Nelle more che qualcuno si svegli, i decreti attuativi restano lì. Le imprese chiudono, le famiglie tremano.

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